“Mi ritrovai nella città sepolcrale, infastidito dalla vista di persone
che si affannavano per le strade a rubarsi l’un l’altra qualche spicciolo,
a divorare pasti infami, a tracannare birraccia,
a sognare sogni stupidi e insignificanti.”
(Hearth of Darkness,1899, pag.193)
Chi non avesse avuto modo di leggere il romanzo breve scritto da Joseph Conrad nel 1899 ricorderà però il film di Francis Ford Coppola che nel 1979 traspose il tema sul grande schermo con il capolavoro “Apocalypse Now” con Marlon Brando e l’indimenticabile colonna sonora dei Doors. Pur ambientata in epoche diverse – il colonialismo nel testo originario e la guerra del Vietnam nel film – la trama è la medesima, al pari del messaggio al cui servizio è posta.
Un anziano marinaio di nome Marlow racconta di un viaggio che molti anni prima aveva fortemente voluto per entrare in contatto con un continente per quell’epoca ancora misterioso e pieno di fascino: l’Africa nera (i nomi dei luoghi, del fiume e della foresta, coprotagonisti del romanzo, non sono mai esplicitati).
Addentratosi nel continente dopo un lungo viaggio, giunge alla sede della Compagnia che lo aveva assunto e i cui interessi erano basati sulla razzia dell’ avorio. La base principale della Compagnia gestita da equivoci personaggi tutti invidiosi di un misterioso Kurtz il quale sembra essere l’unico in grado di procurare ingenti e costanti quantitativi del prezioso materiale.
Di Kurtz però non si hanno notizie certe da tempo e la sua base, vera destinazione di Marlow, è molto all’interno della inestricabile e malsana foresta ed è raggiungibile solo via fiume. Marlow parte a bordo di un rattoppato battello a vapore e, risalendo faticosamente il fiume, ha l’impressione di ripercorrere il tempo e lo spazio di epoche remote e selvagge. Arrivato finalmente a destinazione, la base di Kurtz sembra essere un luogo di inenarrabili e truculenti fatti.
Gli occupanti del battello si scontrano con la primordiale ostilità degli indigeni, che hanno fatto di Kurtz una specie di divinità, ammaliati dal suo aspetto, dalla sua determinazione feroce e priva di scrupoli e soprattutto dalla sua voce, anche se ormai l’uomo è molto malato, quasi in fin di vita e forse in preda alla follia. Marlow rimane affascinato dal personaggio senza essere in grado di darsi una vera spiegazione. L’unica cosa da fare in quel frangente è riportarlo a casa; nel viaggio di ritorno Kurtz prima di morire pronuncia la celebre frase «Che orrore! Che orrore!», e consegna a Marlow un pacco contenente alcune lettere e la foto di una giovane donna cui Marlow non avrà il coraggio di rivelare la vera natura dell’uomo che lei crede un modello di perfezione, dicendole, mentendo, che le sue ultime parole sono state per lei.
“Cuore di Tenebra” è considerato uno dei massimi capolavori letterari del XIX secolo e la più completa parabola sul Potere quale forza oscura che corrompe e inquina anche paradisi sino a poco prima incontaminati. Nell’uso corrente l’espressione “cuore di tenebra” sta ad indicare il nucleo oscuro e più profondo da cui originano fenomeni quotidiani in cui sembrano essere stati smarriti sia il sentimento che la ragione.
Al di là delle analisi economiche e sociopolitiche più volte pubblicate con spirito illuministico da chi scrive su queste pagine e che possono legittimamente essere condivise o meno, sembra ora farsi strada una domanda inquietante: Qual è il cuore di tenebra di una città come Palermo che ripropone decennio dopo decennio le stesse emergenze, i medesimi bisogni, i crescenti segnali di arretramento della coscienza civile e del riconoscimento dei diritti più elementari dei più, che spesso non fanno notizia ?
In quale ansa segreta dei fiumi dimenticati che scorrono mortificati sotto la città, si nasconde lo spirito di Kurtz che neanche il benevolo Genio di Palermo – pur ammonendo attraverso il motto “Panormus conca aurea suos devorat alienos nutrit” – è mai riuscito a tenere lontano?
E’ forse giunto il tempo di ammettere, con onesta intellettuale, che tale drammatica ed immobile realtà non sia più da ascrivere a questo o quel sindaco, a questa o a quella maggioranza, a questa o quella temperie storica o sociale, atteso che sembra esistere una costante che attraversa la storia della città la quale, sfatando il mito di una Palermo felicissima che non è mai esistita soprattutto per i più, non è riuscita a fare il salto definitivo dalla dimensione della sudditanza – sociale, culturale, economica, rappresentativa – a quella della piena cittadinanza di tutti e non solo di pochi.
Di ciò hanno approfittato molteplici ceti politici che pur con gradi diversi di compromissione hanno costantemente mantenuto i cittadini in un perenne stato di bisogno e di dipendenza, illudendone le speranze con giochi di specchi mantenendo al contempo inalterata la condizione di “figli di un dio minore”.
Lo strumento principale per l’esercizio di tale strategia di controllo sociale è sempre stato costituito – e continua ad esserlo – dallo spettro delle mille emergenze, concepite colpevolmente e come antitesi scelta consapevolmente al posto di ogni programmazione coerente di interventi che accompagnino la crescita della città e l’evoluzione di quanti la abitano.
Un deficit di modernità e di senso dell’amministrazione, affidato al braccio “armato” di una burocrazia da incubo che a Palermo – in modo molto più evidente che nel resto dell’Isola a motivo della doppia concentrazione di potere che vi ha sede – ha sempre la caratteristica dell’individualismo e della negazione tout court di ogni eventuale positiva eredità provenente dal passato e, al tempo stesso, la metodica attenzione a non lasciare alcun genere di vantaggio a chi dovesse sopravvenire nell’azione amministrativa.
Il cuore di tenebra di Palermo è dunque ancora una volta il Potere, concepito come trampolino personale verso altri e più ambiziosi obiettivi. Si tratta di un uso strumentale del pubblico servizio che esclude il merito quale ascensore sociale, alimentando piuttosto clientele e speranze verso un futuro evocato ma mantenuto sempre più su un irraggiungibile orizzonte, allo scopo di legare a se stessi – e a nessun altro – le speranze di futuro.
Non si spiegherebbe diversamente il triste fenomeno che vede la città e le sue principali manifestazioni (Servizi Comunali, Università, Sistema Sanitario, Sistema Scolastico, Sicurezza e Legalità) sempre più spesso in coda ad ogni classifica mondiale o nazionale, anche rispetto alle altre grandi città del Mezzogiorno. E ciò, nonostante le vetrine ricolme di lustrini che una zoppicante propaganda cerca di contrabbandare a chi ancora può essere confuso.
Ogni giorno a Palermo si recita un doppio copione: da una parte annunci e iniziative che intendono allinearne l’immagine sui media locali e nazionali a quella di grandi capitali europee, dall’altra l’assoluta e colpevole disattenzione alla qualità della vita della maggior parte dei cittadini, l’assenza di ogni azione proattiva e di prevenzione, la continua alimentazione di baracconi pubblici in cronico disavanzo che nutrono la sub cultura del posto pubblico o parapubblico, la pletorica compagine di dipendenti sottoutilizzati ma inamovibili dai piccoli o dai gradi poteri che detengono, il degrado di territori, spazi ambientali, paesaggistici e monumentali e, soprattutto, delle coscienze che si rifugiano – potendolo- sempre di più in una dimensione privata in cui prevale il sospetto e la sfiducia verso tutto ciò che è pubblico.
Di questa drammatica contraddizione, oggi sotto gli occhi del mondo in tempo reale, si nutre la sfiducia crescente che tiene lontani concreti investimenti economici ed affettivi, esclude la possibilità che i migliori tra coloro che sono andati via possano valutare un eventuale ritorno e stordisce e confonde i visitatori che, sempre più fuggevolmente, fanno di Palermo una breve tappa che lascia attoniti per la grande, fatiscente bellezza e allibiti per la visibile incapacità di trasformare una grande risorsa in un progetto di moderna rinascita.
In pochi – nei giorni in cui l’urbanista Maurizio Carta pubblica per Lettera Ventidue l’atteso volume collettaneo “Palermo. Biografia progettuale di una città aumentata” – sanno scorgere dietro il pericoloso fascino della Città delle occasioni perdute di ieri e di oggi l’orrore di un cuore di tenebra che tutto brucia e distrugge e che, ancora oggi, ne condiziona cupamente ogni aspetto, in attesa dell’ormai inevitabile collasso fatale dopo il quale, forse, si potrà un giorno cominciare finalmente a sperare, ed a costruire, un inedito destino nel segno del riscatto.