“Il linguaggio è una pelle: io sfrego il mio linguaggio contro l’altro.
È come se avessi delle parole a mo’ di dita,
o delle dita sulla punta delle mie parole.”
(Roland Barthes, Frammenti di un discorso amoroso, 1977)
Per quanto non bisestile, il 2022 sarà ricordato come l’anno in cui sono franati alcuni dei miti più solidi del ‘900 e che hanno accompagnato per quasi un quarto di secolo anche il nuovo millennio.
Per la generazione dei baby boomers (nati tra gli anni ’50 e ’60 del ‘900) si è trattato di uno shock culturale senza precedenti.
Sorpresi nel mezzo del cammino dalla rivoluzione digitale a cui – pur con fatica e tanta nostalgia del mondo analogico – molti si sono adeguati, hanno avuto anch’essi quella parte di sventure globali a cui ogni generazione sembra essere sottoposta.
La pandemia da Covid 19 li ha costretti a rinnovare i ricordi dei propri nonni e genitori sottoposti, i primi, ad una guerra mondiale ed alla conseguente epidemia “spagnola” ed i secondi, alla devastazione dei bombardamenti e alle macerie sociali ed economiche dalla quale occorsero anni per riprendersi.
Per i sessantenni di oggi, forse il massimo del disagio furono gli anni ’70 quando vennero toccati per la prima volta da secoli dalla consapevolezza che il potere dell’energia (allora il petrolio degli emirati arabi riuniti nell’OPEC) era comunque fragile, precario ed in mano a pochi in grado di ricattare l’Occidente che si sviluppava senza sosta e senza controllo.
Per molti il ricordo di quelle domeniche “a piedi”, la riscoperta dei mezzi alternativi all’automobile, la chiusura anticipata di cinema, teatri ed esercizi pubblici e la riduzione dell’illuminazione stradale furono vissuti quasi come un gioco. Come tale, durò poco e fino a pochi anni fa venne considerato un evento bizzarro destinato a non ripetersi.
Solo pochi compresero che stava per finire il tempo dello sviluppo senza limiti e della mancanza – spesso inconsapevole – di ogni forma di responsabilità verso l’ambiente naturale che rimase invece a lungo appannaggio dei boy scout di tutto il mondo, di poche nascenti associazioni ambientaliste, di timidi soggetti politici guardati con la medesima ironia rivolta ai movimenti survivalisti, fissati con la minaccia nucleare e la fine del mondo e alle prese con la costruzioni di patetici rifugi antiatomici.
Mentre il ‘900 sembrava essersi chiuso con la caduta del Muro di Berlino che fece strame del più duraturo e drammatico esperimento politico di ogni tempo ( e con esso di molti sogni giovanili), a partire dai primi mesi del nuovo millennio insieme alla Twin Towers crollò il mito della sicurezza sostituito dall’imperversare del fondamentalismo islamico, declinato nella forma del terrorismo e in quella della immigrazione incontrollata su cui le destre cominciarono a fondare il proprio consenso oggi dilagante.
Entrava così in una crisi epocale la globalizzazione che aveva guidato il mondo verso ingenui destini di un mondo unito dal commercio, dalla finanza e dalla tecnologia e in cui l’unica soluzione politica proposta alle società era l’orizzonte democratico di stampo occidentale, da “esportare” con ogni mezzo, dimenticando che due terzi del mondo erano – e sono – ancora in una condizione sociale di tipo medievale e che fenomeni atavici quali la schiavitù, il razzismo e la discriminazione di genere erano – e sono – la normalità in molte regioni del mondo.
Da allora, il mondo non ha conosciuto tregua e mentre cresceva in silenzio il gigante cinese lanciato alla conquista del mondo attraverso l’arma commerciale agevolata dall’ingresso nel WTO (World Trade Organization) – consentito irresponsabilmente con l’occhio più al più grande mercato del mondo che al livello di progresso sociale di quel paese/continente – declinavano le due potenze tradizionali che avevano progettato il mondo dopo la Seconda Guerra Mondiale, pur con cinico realismo.
Il mondo sovietico soccombeva sotto i colpi di un’insostenibile concorrenza economica che presto ne avrebbe avvilito anche l’identità, aprendo la strada a quel sentimento di rivincita che oggi è il fondamento del consenso di cui gode Vladimir Putin; gli Stati Uniti, da sempre oscillanti tra isolazionismo e multilateralismo, conoscevano molte presidenze di taglio diverso e contraddittorio tanto più incomprensibili ove si pensi che al decennio di Barack Obama, che avrebbe dovuto consolidare l’ America progressista, è seguito il quinquennio revanscista di Donald Trump e la debole amministrazione Biden, tra poche settimane alla prova dei fatti nelle elezioni di Mid-term che potrebbero essere l’anticamera della sconfitta tra due anni di Sleepy Joe.
Crisi economiche e pandemia hanno impresso un diverso corso all’Unione Europea, passata nel frattempo a ventisette membri, mentre se ne sfilava il Regno Unito che oggi sembra ripensarci, profondamente divisi nella concezione dello stato e della società e più interessati al vantaggio economico che al modello di società che essa non è ancora riuscita a definire. La Francia, la Germania e i piccoli stati centrali sembrano ormai schiacciati tra le spinte centrifughe crescenti dei paesi scandinavi “frugali”, l’avanzata delle destre in Italia, Austria, Finlandia e Svezia, le democrazie illiberali dell’Est.
Il Next Generation Eu, tradotto in Italia come Piano Nazionale di Ripresa e Resilienza e con il maggiore ammontare di fondi (209 miliardi) garantiti dall’emissione di bond europei, sembra essere al momento l’unico collante che tiene insieme ciò che resta delle idee esposte nel Manifesto di Ventotene. C’è da chiedersi quanti membri sarebbero rimasti, senza tale motivazione venale ma determinante: forse meno dei sei paesi fondatori. Cadrà un altro mito su cui i baby boomers europei sono cresciuti ed hanno guardato, confidando in quel passaporto rosso che tanto ha permesso la nascita della generazione Erasmus rappresentata dai propri figli, per molti dei quali l’Europa è diventato non più solo luogo di studio e di relazioni ma anche di lavoro e di scelte di vita?
Un curioso paradosso potrebbe portare ad ipotizzare che l’Unione potrebbe finire – o ridursi sensibilmente sul piano territoriale e dell’influenza internazionale – proprio quando i suoi abitanti sono diventati sempre meno francesi, tedeschi, italiani o finlandesi e sempre più invece europei di seconda generazione. Varrà più la rappresentanza espressa dai popoli nel Parlamento di Strasburgo – oggi quasi irrilevante – o il potente Consiglio dei capi di stato e di governo in cui prevalgono sensibilmente gli interessi nazionalistici? Sarà interessante verificarlo nel 2024 alla fine di un quinquennio travagliato da crisi, pandemia e guerra e troppo spesso ambiguo nel porsi in modo credibile e coerente rispetto ad esse.
Insieme alla fine dei grandi miti collettivi, i recenti cento giorni sono stati caratterizzati da eventi connotati da una grande accelerazione dell’escalation militare in Ucraina, dal preoccupante e crescente riferimento all’uso di armi nucleari tattiche (!) fino a ieri considerato un tabù in ogni parte del mondo, ad eccezione della Corea del Nord di Kim Yong-Un e dell’Iran degli Ayatollah che sembra aver toccato il fondo nella repressione dei diritti civili a cura di quella “Polizia Morale” che tanto rinvia a ricordi del passato. Un altro duro colpo alla memoria dei sessantenni che ancora ricordano la Persia dello Scià Mohammad Reza Phalevi (non certo uno stinco di santo, con la sua sanguinaria polizia segreta, la famigerata SAVAK) ma dove le donne di ogni età erano le più eleganti ed indipendenti dell’intero Medio Oriente.
L’ultima delusione che ha steso molti sessantenni è di queste ore con il successo elettorale di una Destra sovranista che incuba germi pericolosi che non sappiamo ancora quando e se verranno isolati e rinnegati. Un brutto colpo per chi è cresciuto “a pane e Berlinguer”, sotto il sorriso di Papa Giovanni XXIII, l’ardore di Giovanni Paolo II contro tutte le forme autoritarie, la Leggerezza di Italo Calvino e il pensiero illuminato di Gramsci e di Gobetti e per i quali la Costituzione non è stata soltanto “la più bella del mondo” ma un progetto di vita individuale e collettiva.
Infine, i miti più personali ma non per questo meno influenti sulla generazione dei baby boomers: dalla Regina Elisabetta II, emblema di quell’ Inghilterra dei colleges blasonati, ma anche dei Beatles e dei Rolling Stones che per prima ci regalò il fremito della libertà e il confronto con un mondo avanti decenni rispetto all’Italia degli anni ’60 e ‘70, a Piero Angela che ha fatto innamorare della scienza perfino i più sfegatati sostenitori della cultura classica, a Piero Citati che ci ha accompagnato nello straordinario viaggio della Letteratura mondiale la cui colonna sonora era sempre scritta da Ennio Morricone, da Michail Gorbacev regista di un’opportunità stroncata sul nascere a Jean-Luc Godard di cui il quotidiano “Liberation” ha rivelato: “Non era malato, era solo esausto. È stata una sua decisione e per lui era importante che si sapesse”.
Che sia proprio questa sensazione il principale cruccio di quanti hanno vissuto le massime illusioni e assistito alle più cocenti delusioni di un periodo storico tra i più drammatici ma anche tra i più entusiasmanti del lungo cammino dell’Umanità?
Se così fosse, l’ultimo nostro dovere sarebbe quello di reagire, riconoscendo e incoraggiando l’entusiasmo dei giovani di oggi, dovunque esso sia diretto, senza giudicare, senza rimpiangere, senza recriminare ma, come si conviene ad ogni buon nonno, con l’intramontabile compito di raccontare “frammenti di un discorso amoroso” auspicando di suscitare in essi ciò che uno dei pochi maestri che ci sono rimasti ha voluto consegnarci come missione e come dovere:
“Il carattere complesso dell’attività pensante […] associa incessantemente in sé, in modo complementare, processi virtualmente antagonistici che tenderebbero ad escludersi l’uno con l’altro. Così il pensiero deve stabilire frontiere e traversarle, aprire concetti e chiuderli, andare dal tutto alle parti e dalle parti al tutto, dubitare e credere, esso deve rifiutare e combattere la contraddizione ma, nello stesso tempo, deve farsene carico e nutrimento.” (Edgar Morin, La conoscenza della conoscenza”, Milano 2007)