L’interessante storia di un piccolo paese del Pollino Lucano ad un incrocio tra Cina e USA
Mentre si discute sulla necessità di individuare nello sviluppo del Sud una delle principali destinazioni di una parte importante delle risorse previste dal Recovery Fund, tecnicamente denominato Next Generation EU, alcuni restano perplessi sulla possibile replica di sprechi ed utilizzi impropri di cui è stata fatta esperienza nella fase finale della Cassa per il Mezzogiorno, che bene aveva funzionato negli anni cinquanta e sessanta sul modello della Tennessee Valley Authority, principale agenzia pubblica attivata dal New Deal di Roosevelt.
In realtà, prima di considerare gli aspetti tecnici, occorrerebbe approfondire maggiormente alcuni aspetti culturali, retaggio di una mentalità le cui radici affondano in un passato lontano. Queste mentalità che si sono andate stratificando negli anni hanno impedito fino ad oggi di voltare pagina in ampie zone del Paese dove la rassegnazione si lega a forme di tradizionale fatalismo.
Lucio Lombardo Satriani, Ernesto De Martino, Domenico De Masi ed altri studiosi hanno a lungo indagato i comportamenti individuali e sociali che sovente hanno impedito, unitamente ad altre cause storiche, l’evoluzione di costumi, di visioni del mondo, di forme diverse di autostima nonché di una maggiore propensione al rischio, agendo in modo subliminale anche sulle giovani generazioni.
A metà degli anni cinquanta per circa nove mesi un importante sociologo americano, che dal 1959 in poi sarà professore ad Harvard, condusse una ricerca sul campo in un piccolo paese della provincia di Potenza, Chiaromonte, che allora contava circa 3.400 abitanti (mascherandolo sotto il nome di Montegrano).
Edward Banfield diverrà un accademico di riferimento della sua generazione; partirà condividendo le politiche di Roosevelt ed approderà nel corso della sua carriera ad essere consigliere di tre presidenti conservatori: Nixon, Ford e Regan.
Aiutato dalla moglie di origini italiane, Laura Fasano, e dall’economista Manlio Rossi Doria, svolgerà le sue ricerche in un contesto che presentava vistosi tratti di arretratezza sociale ed economica al fine d’individuare le cause del forte ritardo nello sviluppo.
Nel 1958 il lavoro di ricerca di Banfield verrà pubblicato negli Stati Uniti con il titolo: “The Moral Basis of a Backward Society”, successivamente in Italia da “Il Mulino”, e riedito più volte negli anni.
Il libro diverrà famoso per l’espressione “familismo amorale”, che susciterà molto interesse ed infinite discussioni non soltanto tra gli studiosi, ed individuerà nel paradigma coniato per spiegare l’arretratezza, o meglio la mancanza di reazione all’arretratezza della comunità, una definizione di uso corrente per etichettare una serie di fenomeni collegati ad un difetto ricorrente nella società italiana, la carenza di senso civico, più forte in alcune aree ed in alcuni contesti sociali.
Avverso allo spirito di comunità, disposto a cooperare solo in vista di un proprio tornaconto, il familista amorale si comporta secondo la regola principale di massimizzare i vantaggi materiali ed immediati della famiglia e/o del gruppo di appartenenza, supponendo che tutti gli altri agiscano ugualmente, in questo modo impedendo l’attivarsi di una virtuosa dinamica di sviluppo locale.
Banfield indaga su una realtà contadina molto dura, dove molti vivono a livello di sussistenza; nei secoli soltanto poche famiglie “nobili” hanno potuto accaparrarsi la gran parte delle terre e delle ricchezze, lasciando la maggioranza della popolazione in una situazione di grave povertà, nonché mette in luce la mancanza di una reazione comune a questa drammatica situazione.
Ma, nel paese ubicato nell’area del Pollino Lucano, vi è una seconda vicenda degna di interesse; la famiglia nobile di Chiaromonte sono i baroni Di Giura, che da secoli possiedono le terre del contado fino a Battifarano, e nel 1868 dalla stirpe nasce Ludovico Nicola, che si laurea in medicina a Napoli nel 1891.
Intraprende la carriera militare in marina, fa il giro del mondo con la nave Cristoforo Colombo, e nel 1900 durante la rivolta dei Boxer in Cina, fa parte della squadra navale che l’Italia invia per proteggere i nostri connazionali; conclusa la pace, resta come sanitario nel battaglione che il nostro Governo lascia a guardia della Legazione italiana, raggiungendo il grado di tenente colonnello.
Ludovico Nicola Di Giura rimarrà per trent’anni in Cina, sarà il medico personale dell’imperatrice Tzu Hsi e del figlio Pu-Yi, e diventerà l’unico non cinese a venire nominato “mandarino di prima classe”; sarà molto apprezzato come medico non soltanto dalla corte imperiale, ma si prodigherà verso molti altri, imparerà la lingua alla perfezione e pubblicherà un trattato in cinese sulle malattie infettive.
Si dedicherà con passione allo studio della tradizione cinese, tradurrà le 435 fiabe di “P’u-Sung-ling” raccogliendole in un volume, e scriverà il libro su “Le Famose Concubine Imperiali”, che sarà pubblicato postumo da Mondadori nel 1958 curato dal nipote Giovanni.
Nel libro si narrano le storie di sei concubine imperiali, che attraverso la storia di varie dinastie, avevano esercitato una grande influenza e rimanevano ancora vive nei canti e nel teatro del Celeste Impero.
Medico personale dell’Imperatrice Vedova, la famosa concubina Tzu Hsi (sesta delle vicende narrate nel libro), fu tenuto in grandissima considerazione a corte; successivamente a seguito della proclamazione della Repubblica, ospitò il figlio, l’ultimo imperatore (del film di Bertolucci) Pu-Yi, nella propria casa che godeva dell’immunità diplomatica nel “Quartiere delle Legazioni”.
Il barone Di Giura, importante studioso e medico italiano in Cina, sarà sindaco di Chiaromonte negli anni trenta e quaranta (dopo essere rientrato in Italia nel 1930), morendo nel 1947, e pochi anni dopo il sociologo americano Banfield studierà proprio quella realtà locale che diverrà paradigmatica nell’espressione “familismo amorale”.
Allo stesso modo apparve il paese di Gagliano a Carlo Levi quando vi giunse (1944) a seguito della condanna al confino inflittagli dal fascismo: “Cristo è sceso nell’inferno sotterraneo del moralismo ebraico per romperne le porte nel tempo e sigillarle nell’eternità. Ma in questa terra oscura, senza peccato e senza redenzione, dove il male non è morale, ma è un dolore terrestre, che sta per sempre nelle cose, Cristo non è disceso. Cristo si è fermato a Eboli”.
Oltre mezzo secolo dopo, dobbiamo interrogarci sul perché, nonostante la crescita dell’alfabetizzazione, il ruolo positivo dei media nell’informazione, l’avvento di internet e di nuove tecnologie nella comunicazione, permanga una mentalità rinunciataria, ben descritta e fotografata nel film “i Basilischi” (1963) di Lina Wertmuller, che ancora alligna soprattutto in alcune zone interne del Sud (ma non soltanto), rallentandone lo sviluppo e favorendo un nuovo fenomeno migratorio di giovani istruiti che si trasferiscono altrove. Il consiglio alla lettura (o alla rilettura) del testo di Banfield potrà sicuramente costituire un buon punto di partenza.