Due mesi di guerra fratricida in Ucraina non hanno prodotto alcun risultato. Salvo, forse, far emergere il lato peggiore di alcuni personaggi. E aver confermato che, oggi, le guerre sono prima di tutto un problema di comunicazione e marketing.
Si è iniziato con la cancellazione di mostre su artisti e letterati russi che fanno parte del patrimonio storico: quali sarebbero le responsabilità di artisti morti secoli fa è ancora poco chiaro. Poi è stata la volta della cancellazione di eventi sportivi in Russia. Quindi si è passati all’esclusione di atleti e squadre russi da alcuni eventi sportivi: ultimo, ma non ultimo, i tennisti russi sarebbero stati esclusi da uno dei più famosi tornei di tennis del mondo (come ha detto uno di loro, non si capisce che peso dovrebbe avere una simile decisione sulle scelte dell’enclave russa che ha deciso di fare guerra all’Ucraina: davvero qualcuno pensa che Putin possa cambiare idea perché un paio di tennisti sono estati esclusi da Wimbledon?).
Politiche di mercato che appaiono ridicole. Specie dopo aver visto correre regolarmente (e trasmettere in tutte le televisioni del pianeta) un gran premio automobilistico in uno dei paesi maggiori responsabili di violazioni dei diritti umani al mondo, un paese dove ci si ostina a decapitare le persone in piazza solo perché di idee politiche diverse. Una politica fatta di boicottaggi inutili e monotematici che ieri, forse, ha raggiunto il culmine. Il governo di Kiev avrebbe “bloccato” l’iniziativa di pace del Segretario Generale dell’ONU, Antonio Guterres, che aveva deciso di recarsi prima in Russia e, due giorni dopo, in Ucraina per parlare di pace. “Non è una buona idea andare a Mosca. Non capiamo la sua intenzione di viaggiare a Mosca e parlare col presidente Putin”, ha detto Igor Zhovka, vicecapo dello staff di Volodymyr Zelensky, dopo aver affermato che Guterres “non è autorizzato” a parlare per conto del governo ucraino. Secondo Kiev, Guterres dovrebbe rinunciare ai propri sforzi di pace e “dovrebbe concentrarsi invece sull’assistenza umanitaria”. A sentire queste parole sembra quasi che il leader ucraino non voglia la pace, ma solo aiuti economici. In particolare armi e soldi. A dirlo chiaramente era stato il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, al suo arrivo al Consiglio atlantico NATO, a Bruxelles, all’inizio di aprile: “La mia agenda è molto semplice. Ha solo tre elementi: armi, armi e armi”. E tutti i paesi del Patto Atlantico si sono precipitati ad accontentarlo.
Un comportamento che potrebbe aver rivelato, finalmente, una realtà finora poco chiara (anche grazie ad una pressione mediatica tutt’altro che neutrale). La verità è che a molti sembra non dispiacere affatto che si continui a combattere una guerra che sta causando migliaia di vittime e milioni di “sfollati” (come dovrebbero essere definiti in base alla direttiva UE del 2001). Il leader ucraino non fa altro che chiedere soldi e armi a paesi che sembrano non vedere l’ora di poterglieli regalare. Come mai nessuno ha detto che l’Ucraina era già un grosso produttore di armi a livello internazionale (secondo alcuni dati, sarebbe il quarto maggior produttore al mondo di lanciarazzi. Solo nel 2020, secondo i dati del Sipri, avrebbe “esportato” oltre 250 missili guidati anticarro a 4 paesi: Marocco, Qatar, Bangladesh e Chad! ukraine_2020_eng.pdf (sipri.org). Ma di questo i media non hanno detto molto)?
La guerra è da sempre una delle leve per il rilancio dell’economia. E da sempre, produzione e vendita di armi e armamenti sono uno dei settori trainanti dell’economia made in USA. Ora pare che anche i governi europei abbiano capito che “fare la guerra” è un affare maledettamente redditizio. Negli ultimi due mesi, da quando Putin ha avuto la maledetta idea di invadere l’Ucraina, le quotazioni in borsa dei titoli borsistici di alcuni dei maggiori produttori di armi al mondo hanno avuto un’impennata a due cifre.
Tutti pronti a fare pressioni sui propri governi e fare a gara a chi manda più armi ad un paese in guerra (in palese violazione di dozzine di accordi e trattati di pace). Tutti impegnati a chi regala più strumenti di morte ad un paese che non fa parte né della NATO né dell’UE (ma allora perché on farlo anche con altri paesi invasi o in guerra?). Nella speranza, in un futuro prossimo, di riuscire a mettere le mani sul tesoretto costituito dalle ricchezze dell’Ucraina. Sì, perché il vero motivo della guerra in Ucraina non sono solo i combustibili fossili e il loro passaggio attraverso il paese. Sono le enormi ricchezze di cui dispone. L’Ucraina è il decimo paese al mondo per riserve di titanio. Il secondo per riserve di minerali di manganese (con il 12% delle riserve mondiali). Il secondo per minerale di ferro (30 miliardi di tonnellate). E il settimo al mondo per riserve di carbone (33,9 miliardi di tonnellate).
Anche nel settore agricolo c’è un tesoretto che fa gola a molti: l’Ucraina è il paese europeo con la maggiore superficie agricola coltivabile. Occupa il primo posto al mondo per esportazioni di girasoli e olio di girasole, il secondo per produzione di orzo e il quarto per esportazioni di orzo. É il terzo produttore mondiale di mais. Il quarto produttore mondiale di patate. L’ottavo al mondo per esportazione di grano. Ma non basta. L’Ucraina è anche un paese altamente industrializzato. Terzo in Europa (ottavo nel mondo) in termini di capacità installata di centrali nucleari. Occupa il nono posto al mondo nelle esportazioni di prodotti dell’industria della difesa ed è il decimo produttore mondiale di acciaio (32,4 milioni di tonnellate). E molto altro ancora. Tutti buoni motivi (secondo alcuni guerrafondai) per fomentare il conflitto in Ucraina inviando armi e armamenti. Sperando di avere in cambio un pezzetto di quello che potrebbe essere un affare multimiliardario. Ma anche un motivo per spingere il premier Ucraino, impegnato più nella realizzazione di spettacoli (l’ultimo quello nella metropolitana di Kiev) che nella reale ricerca di una pace stabile, a rifiutare la mediazione del Segretario Generale delle Nazioni Unite. Di dire no all’unico finora a mettersi davvero in gioco nel tentativo di porre fine ad una guerra che serve solo a chi ha deciso di fare della morte di persone innocenti uno strumento per accrescere le proprie ricchezze e magari portarle in qualche paradiso fiscale (ma anche di questo pochi media hanno parlato).