Qualche anno fa, tra il 2017 e il 2018, fece scalpore la decisione di un centro per le grandi distribuzione organizzata con sede a Baltimora, Maryland, per aver licenziato centinaia di dipendenti accusati di non aver raggiunto le “quote di produttività” stabilite. A fare scandalo non fu tanto la motivazione di quei licenziamenti quanto piuttosto il fatto che a decidere di licenziare quelle persone (e a volte a comunicarlo) era un robot. Una macchina che aveva calcolato la performance dei dipendenti in base a un algoritmo che “traccia il tasso di produttività di ogni dipendente e che aveva generato automaticamente un richiamo o un licenziamento, a seconda della qualità o della produttività senza ricevere input da parte dei supervisori” disse un rappresentante dell’azienda.
La notizia fece il giro del mondo. Molte le polemiche. Possibile che a decidere del posto di lavoro di un dipendente, del suo futuro, della sua vita dovesse essere una macchina, ovvero quanto di più freddo e disumano c’è al mondo? Secondo alcuni giornali, alcuni dipendenti di quell’azienda dichiararono di aver cercato di evitare anche di andare al bagno pur di mantenersi in linea con la tempistica ed evitare il licenziamento. In alcune sedi dell’azienda i dipendenti sollevarono pacate proteste lamentandosi dei ritmi massacranti imposti dall’azienda e del trattamento disumano (in tutti i sensi). Proteste alle quali l’azienda rispose dicendo che i sistemi di valutazione erano assolutamente corretti e oggettivi. Non mancò, però, di rassicurare i lavoratori di molti paesi (quelli dove i rappresentanti dei diritti dei lavoratori sono più forti) che questo modo di fare non sarebbe stato adottato in quelle sedi.
Per un po’ non se ne parlò più. Poi, improvvisamente, si è tornato a parlare di macchine che valutano i lavoratori. Anzi i “potenziali” lavoratori. Alcune grandi aziende hanno un turn over molto elevato del personale. Questo comporta selezioni spesso lunghe. E costose. La soluzione? Fare ricorso alle macchine anche per selezionare il personale (almeno in una prima fase). Alcune società internazionali di gestione del personale hanno deciso di dotarsi di software basati sull’intelligenza artificiale per effettuare colloqui online e senza la presenza di un selezionatore umano. È la macchina a valutare automaticamente fattori come il tono della voce, l’espressione del viso, una esitazione del candidato ad un posto di lavoro. E a decidere se il candidato può andare avanti nella selezione o deve essere scartato. La decisione di utilizzare gli algoritmi per scremare i curricula, filtrare le lettere di presentazione, individuare parole chiave e riconoscere i candidati da assumere e quelli da scartare non è nuova. Ma fino ad ora si era limitata quasi esclusivamente a scremare i dati riportati sui CV dei candidati. Ora, invece, grazie all’utilizzo di algoritmi in grado di elaborare milioni di dati e apprendere dal flusso delle informazioni, le valutazioni sono più approfondite e affidabili.
Tra questi sistemi quello sviluppato dalla società HireVue: la macchina pone una serie di domande standardizzate e pre-registrate al candidato che viene contemporaneamente ripreso da una webcam (cosa che consente l’utilizzo di questo sistema anche in remoto). Quindi il software trasforma le parole in testo e analizza tutta una serie di dati (lessico, tono, cadenza, espressioni facciali e postura). In pochissimo tempo vengono analizzati fino a 25 mila dati che dovrebbero consentire di giudicare, oltre a fattori professionali, anche fattori come l’intelligenza emotiva dell’intervistato, la sua capacità di lavorare in squadra e perfino aspetti come la sua affidabilità. Alla fine, la macchina confronta i risultati ottenuti con il ruolo che il candidato dovrebbe ricoprire e decide se passare ad una selezione con un vero valutatore o scartare il candidato (non senza averlo ringraziato anche se in modo un po’ freddo e macchinoso). Il tutto automaticamente.
Per capire il boom di questi sistemi basti pensare che, nel 2022, il costo globale del mercato dell’intelligenza artificiale nel campo del reclutamento professionale si pensa raggiungerà i 3,89 miliardi di dollari (nei prossimi 5 anni si stima che supererà i 17 miliardi). A utilizzare questi “sistemi” (di nome e di fatto) sono state finora oltre 800 grandi aziende. Tra queste, nomi famosi come Hilton Hotels, Ikea, J.P. Morgan, Coca Cola, Goldman Sachs, Vodafone, Unilever e tante altre. La decisione di ricorrere a questi sistemi è semplice: alcune di queste aziende ricevono centinaia di migliaia di candidature ogni anno. Con tempi lunghissimi per realizzare i colloqui di lavoro preliminari e spese a sei zeri per i valutatori. La catena d’alberghi Hilton, ad esempio, ha dichiarato che, grazie a questi “sistemi”, il tempo medio dedicato alle selezioni del personale è passato da sei settimane a cinque giorni. Meglio allora (per alcuni, almeno) far fare il lavoro sporco alle macchine. Nessuna necessità di consolare le migliaia di candidati che non sono stati scelti per avanti nella selezione. Ma soprattutto nessuna parcella per i selezionatori o i responsabili delle risorse umane.
E, ovviamente, sempre che la “macchina” non si guasti.