Si susseguono le notizie che riguardano l’uso della mascherina a scuola da parte dei bambini. Pochi giorni fa abbiamo letto quanto è accaduto in una scuola primaria dell’ Abruzzo: un bambino si è tolto la mascherina in classe e la maestra ha chiamato i genitori che hanno portato via dall’istituto il figlio sconvolto. A poche ore di distanza un articolo del Corriere del Veneto, scritto da Katia Tafner, riporta un altro assurdo episodio avvenuto in un paesino del Cadore.
L’insegnante ha rimproverato l’alunno di otto anni perché non teneva bene la mascherina sul viso. Il bambino aveva difficoltà a respirare e la maestra gli ha attaccato la mascherina con il nastro adesivo. La storia è stata raccontata dalla madre e ha subito fatto il giro delle chat, provocando lo sconcerto di quanti hanno letto le sue parole. La donna ha scelto di andare a scuola per parlare con la maestra, registrando anche la conversazione con il cellulare per avere le prove. Ormai, il registratore del cellulare è diventato il protagonista di innumerevoli vicende e diventa “un’arma” per provare tutto quello che vogliamo.
La maestra di fronte alle accuse ha ammesso: “Sì l’ho messa per scherzo. Ma poi lui l’ha tolto subito lo scotch, non volevo bloccargli la respirazione. Ho sbagliato, lo so”. Dopo la conferma la madre ha denunciato il fatto alla stazione dei carabinieri e ha diffuso il video fra i suoi contatti. Il sindaco del paese ha scelto di non esprimersi e la madre ha deciso di portare davanti alla magistratura questo caso: “Vado avanti – ha detto – perché è giusto che questo sistema cambi e torni ad essere umano”.
Lo schema sembra essere sempre lo stesso: genitori che si presentano a scuola e vogliono spiegazioni. In alcuni casi estremi, ci troviamo di fronte ai cosiddetti genitori “elicottero”. Pronti al decollo sono quei papà e quelle mamme che accorrono immediatamente in soccorso dei figli. Un po’ come i genitori “spazzaneve”, che liberano la strada da ogni tipo di ostacolo, o i genitori curling che strofinano il fondo davanti ai piedi dei loro figli, affinché scivolino senza alcuno sforzo lungo il cammino della vita.
Anche in questo caso il bambino racconta alla mamma quello che è successo a scuola e la mamma decide di affrontare l’insegnante. In questa circostanza la madre si è anche rivolta alle Forze dell’Ordine.
La legge dovrà fare luce su questa storia, ma ancora una volta a sorprenderci è la mancanza di collaborazione tra famiglia e scuola. I bambini che diventano protagonisti di situazioni assurde in un momento in cui non ci possiamo permettere di farli stare male.
Due anni di pandemia hanno reso i nostri ragazzi più fragili e più soli. Nel 2019 i ragazzi che dichiaravano di provare spesso un sentimento di solitudine erano il 33%, già nel 2020 erano saliti al 48% (secondo i dati di Terres des Hommes, feb 2020). Un sentimento che ha continuato a crescere tanto e lo dimostra la Survey che io stesso ho condotto: La mia vita ai tempi del Covid (aprile – maggio 2020).
Un fenomeno di carattere globale, confermato dallo studio condotto da Unicef che, attraverso i dati della Oxford COVID-19 Government Response Tracker, ha evidenziato come un bambino o un giovane su 7 – 332 milioni in tutto il mondo – ha vissuto per almeno 9 mesi, dall’inizio della pandemia, con misure che prevedevano l’obbligo di restare a casa. Un isolamento che ha avuto un impatto sul benessere mentale dei bambini e dei giovani.
Come se non bastasse ci sono i dati condivisi da Stefano Vicari, responsabile di Neuropsichiatria dell’Infanzia e dell’Adolescenza dell’Ospedale Pediatrico Bambino Gesù di Roma, secondo i quali i tentativi di suicidio e autolesionismo sono aumentati del 30%.
Uno scenario che mostra dati allarmanti e che non possono essere sottovalutati. Nessuna richiesta di aiuto da parte dei più piccoli può essere ignorata.
In questi ultimi mesi, preadolescenti e adolescenti vengono bombardati dalle immagini di loro coetanei che stanno vivendo il dramma della guerra. Video e notizie che rendono ancora più insicure quelle generazioni che non conoscono l’orrore di una guerra e che temono di doversi arruolare. Quello che vediamo quotidianamente ci mostra quanto può essere cattivo e spietato l’uomo.
L’assenza di punti di riferimento certi come la famiglia e la scuola, che oltretutto entrano in dissidio, può danneggiare ulteriormente i ragazzi.
Proprio per questo è necessario che ognuno faccia la sua parte e il proprio dovere. Bisogna trovare un sistema per rimettere al centro l’educazione dei nostri bambini e dei nostri ragazzi, al fine di supportarli nella loro crescita e garantirgli un futuro migliore.
Qual è l’esempio che noi adulti diamo nel momento in cui non riusciamo a gestire le nostre emozioni? Qual è l’esempio che noi adulti consegniamo ai nostri figli quando non siamo in grado di risolvere i problemi che si presentano e dobbiamo ricorrere agli avvocati e ai giudici?
La maestra che decide di attaccare alla faccia di un bambino la mascherina con il nastro adesivo rappresenta una grave esagerazione. Probabilmente un’azione dovuta allo stress e al nervosismo. Nulla però giustifica la mancanza di dialogo tra due agenzie educative, scuola e famiglia, che invece dovrebbero operare insieme e insieme avrebbero dovuto prendere il bambino per mano e accompagnarlo in questo suo disagio.
Non è facile per noi adulti sopportare durante l’estate la mascherina figuriamoci per un bambino che accusa difficoltà a respirare. Questo caso di cronaca ci serve per cambiare atteggiamento. I giovani ci chiedono un impegno diverso e la nostra responsabilità risiede nella capacità di comprendere le loro debolezze di cui anche noi siamo responsabili.