Di petrolio di “contrabbando” non si parla mai. Se ne parla solo in occasione di qualche “incidente” o di qualche operazione delle autorità.
Come per il cosiddetto “Libyagate” che, nel 2017, mise in luce il giro d’affari e gli interessi milionari che coinvolgevano faccendieri, trafficanti di uomini, capi milizia, signori della guerra, governi di numerosi paesi ed esponenti delle principali organizzazioni mafiose internazionali, tutti collegati dal traffico illegale di “oro nero” dalla Libia. Seguendo le rotte degli affari sporchi dalle raffinerie libiche fino in Europa, Irpi e Avvenire scoprirono “rotte sospette – scrissero gli investigatori ONU – che indicano attività illecite”.
A identificare questi traffici furono gli operatori dell’antimafia di Catania (gennaio 2020) durante l’indagine “Vento di Scirocco”. Giri d’affari miliardari che coinvolgevano armatori, società di navigazione con sede a Lagos, in Nigeria, e società egiziane. Giri d’affari internazionale iniziati nel 2015 con l’acquisto di 40 navi dall’Associazione degli armatori greci, (la flotta nigeriana non comprendeva abbastanza petroliere per trasportare idrocarburi e altri prodotti petroliferi del Paese). Libyagate: The Stark Face of ‘Britain plc’ Revealed | openDemocracy. Casi analoghi erano emersi già alla fine degli anni Settanta del secolo scorso.
Lo “scandalo dei petroli”, altrimenti detto “scandalo dei 2000 miliardi” (si parlò di una truffa all’erario di 2.000 miliardi di dollari) è un’indagine iniziata nel 1978. Lo scandalo dei petroli (unifi.it) Coinvolse 18 magistrature, tra cui quella di Torino, di Venezia, di Milano e di Treviso. Addirittura, emerse che “il contrabbando di petrolio aveva provocato uno scarto del 20 per cento tra petrolio effettivamente consumato e imposte pagate, con conseguenti effetti sui dati statistici sui quali venivano impostati i, peraltro mai realizzati, piani energetici”.
Il fenomeno aveva raggiunto una dimensione tale che a seguito del blocco (temporaneo) dei traffici illeciti, si rilevò un incremento della domanda di prodotti petroliferi dovuto al fatto che “le grandi compagnie (…) si erano viste richiedere dal mercato la benzina e il gasolio che prima arrivavano al consumo attraverso le aziende contrabbandiere”. In altre parole, si scoprì che l’aumento della domanda non era dovuto ad “un aumento reale, ma ad una variazione del consumo legale: il che offrì il pretesto alle compagnie per chiedere aumenti dei prezzi, mentre gli italiani erano costretti a subire pesanti misure restrittive e venivano ‘sgridati’ perché, diversamente dagli altri paesi, non erano capaci di contrarre i consumi e di seguire l’austerità energetica”.
Da allora poco è cambiato. E ogni volta, la scoperta di questi traffici illegali vengono scoperchia vasi di Pandora dai quali fuoriescono governi, grandi compagnie, trafficanti e affaristi senza scrupoli. Spesso a far scoprire questi reati sono eventi imprevisti. Come l’esplosione di una raffineria di petrolio clandestina in Nigeria, nello Stato meridionale di Imo: 108 i morti accertati, la maggior parte dei quali completamente carbonizzati. “Abbiamo recuperato un centinaio di corpi carbonizzati o semi carbonizzati, ma il bilancio potrebbe salire ancora”, ha dichiarato Ifeanyi Nnaji, del Servizio nazionale per la gestione delle emergenze. An illegal oil refinery in Nigeria explodes: At least 80 killed (thesouthafrican.com). La vendita petrolio e gas copre quasi il totale delle esportazioni nigeriane.
La produzione giornaliera di petrolio oscilla tra 1,8 e 2,1 milioni di barili al giorno. Di questi, però, almeno 100.000 barili restano impigliati nelle reti del contrabbando per un valore di circa 2,8 milioni di dollari. In questo paese il commercio illegale di greggio è da sempre legato a fenomeni di corruzione diffusa tra funzionari e agenti della sicurezza doganale. Recentemente, sul banco degli imputati è finita anche la Nigerian National Petroleum Corporation (NNCP), accusata di aver avuto stipulato accordi con trafficanti di droga per organizzare la vendita illegale di petrolio. How Corruption And Oil Crime Are Tearing Nigeria Apart | OilPrice.com. Il tutto ovviamente non senza il coinvolgimento di colossi energetici internazionali sospettati di aver chiesto (e ottenuto) accesso “privilegiato” al greggio nigeriano.
In molti paesi del mondo, ormai, il contrabbando di petrolio dagli oleodotti delle grandi compagnie e la vendita clandestina dopo la raffinazione in impianti illegali è una pratica molto più diffusa di quanto si pensi. “Oro nero” che, non di rado, circola nel Mar Mediterraneo. Un paio d’anni fa, l’Iran sequestrò una una petroliera con a bordo un milione di litri di carburante bloccata nell’isola di Lark, nel Golfo Persico affermando che era “carica di petrolio di contrabbando”.
Più di recente, a gennaio 2022, l’operazione “Petrolio Fantasma”, condotta dal Comando Provinciale della Guardia di Finanza di Asti (con il supporto di Reparti della Liguria, Lazio, Abruzzo, Campania e Calabria) ha portato alla luce un’organizzazione criminale che contrabbandava petrolio fingendo di venderlo ad una società negli Emirati Arabi Uniti. Operazione «Petrolio fantasma»: la Finanza sequestra 28 mila litri di gasolio di contrabbando – La Stampa. I trafficanti utilizzavano documenti falsi attestanti il passaggio attraverso il “corridoio di Neum”, la striscia di terra lunga 9 km, territorio della Repubblica di Bosnia-Erzegovina, che separa in due parti il territorio della Repubblica di Croazia (territorio dove sono previste procedure semplificate).
Ad aprile, è venuto a galla un altro caso sospetto dopo l’affondamento, al largo di Gabes, della nave Xelo, battente bandiera della Guinea Equatoriale, con a bordo 750 tonnellate di diesel proviene dal porto egiziano di Damietta e diretta a Malta. Dai documenti forniti dalla Ministra dell’ambiente della Tunisia, Leila Chikhaoui, è emerso che mancava la polizza di carico, ovvero il documento dove devono essere riportati i termini del contratto di trasporto marittimo che vincola il soggetto che ha noleggiato la nave e l’incaricato del trasporto. La Xelo, ufficialmente affondata “a causa del maltempo”, era una carretta dei mari di proprietà di una compagnia turco-libica ma battente bandiera di comodo della Guinea Equatoriale. Una bagnarola che potrebbe non aver trasportato in realtà nessun carico, visto che le 750 tonnellate di diesel rappresentano il carburante necessario al proprio consumo. XELO, Bunkering Tanker – Dettagli della nave e posizione attuale – IMO 7618272 – VesselFinder.
Secondo l’avvocato tunisino Mabrouk Kourchid, (fino al 2018 Ministro dei Domini di Stato) “L’affondamento del mercantile al largo di Gabes potrebbe essere di natura criminale e la nave potrebbe essere utilizzata per il contrabbando. Il contrabbando di petrolio dalla Libia è fiorente, in particolare a Malta e in Italia”. Kourchid ha aggiunto che “In questo tipo di operazioni, il profitto è per Malta e le perdite per la Tunisia”. Il mistero della Xelo, la petroliera affondata in Tunisia (insideover.com).
Nonostante qualche caso, emerso grazie all’instancabile lavoro delle forze dell’ordine, il contrabbando di oro nero non si è mai fermato. Giri d’affari di miliardi di dollari favoriti dall’instabilità dell’area del Mediterraneo e dall’aumento del prezzo del petrolio al barile (che ha reso il greggio africano una risorsa strategica per i mercati internazionali). È per questo che, oggi, in tutta l’area sub-sahariana, il traffico illegale di oro nero continua ad essere una delle attività illecite più redditizie. Un business che in questa zona si somma ai proventi derivati dal traffico di migranti, armi e droga. Un business che coinvolge un grande numero di attori che si rivestono ruoli specifici e diversi. La scarsa capacità di raffinazione dei Paesi dell’Africa Occidentale non consentirebbe di trattare tutto il petrolio che esce da molti di questi paesi attraverso canali illegali.
Sono molte le inchieste (anche giornalistiche) che hanno ricostruito i percorsi di questo contrabbando. Nel Niger, ad esempio, il combustibile viene estratto e fatto uscire dal paese da gruppi criminali locali. Poi, però, sono soggetti dell’Est Europa, di Cina, Russia, Paesi Bassi e anche dell’Italia che si fanno carico del trasporto di questi carichi e del riciclaggio del denaro associato a questi spostamenti. Ricerche condotte dall’UNODC (United Nations Office on Drugs and Crime) qualche anno fa confermano che lo stato di incertezza nel territorio dipende ed è favorito dai legami esistenti tra criminalità locale, criminalità organizzata internazionale e terrorismo. United Nations Office on Drugs and Crime (unodc.org).
Gruppi criminali internazionali a volte ben organizzati e nascosti sotto nomi di società insospettabili. Altre volte, invece, approssimativi e rozzi (ma non per questo meno pericolosi). Traffici che a volte vengono utilizzati per finanziare guerre e rivoluzioni. E che spesso alterano equilibri geopolitici globali. Basti pensare all’interesse di Russia e USA per l’Afghanistan. Due guerre lunghissime che sono costate miliardi di dollari e che sono state perse da quelle che sembravano le prime due potenze militari del pianeta. Il loro motivo per questo pezzo di terra semi-desertica non è l’estrazione di petrolio o di gas naturale, ma il controllo sui traffici (leciti e non) di petrolio e gas centro-asiatici. Lo stesso dicasi per la Turchia: nel 2015 uno dei maggiori quotidiani russi fece scoppiare uno scandalo parlando dell’acquisto e la vendita illegale del petrolio dell’ISIS da parte della Turchia.
A proposito di Russia (e di Ucraina), l’interesse della malavita per il petrolio e il gas che passano per questi paesi in guerra non è una novità. Affari miliardari che le mafie dei due paesi da sempre gestiscono in comune (in barba alle guerre tra i due paesi che vanno avanti da oltre un secolo): studi condotti fra il 1996 e il 2011 dall’Ufficio delle Nazioni Unite contro la droga e il crimine parlano di introiti annuali miliardari. E a fare da collegamento tra gli altri “affari” sarebbe proprio il gas. Affari gestiti da società che controllate da intermediari di entrambi i paesi che trasportano il gas da altri paesi (ad esempio, dal Turkmenistan) per rivenderlo al miglior offerente. Giri d’affari in parte legali in parte no e guadagni che derivano sia dal gas legale e che dal gas rubato.
Nel 2005, dopo la ‘rivoluzione arancione’ e l’entrata in carica della coppia Jušˇcenko-Tymošenko, Mosca avanzò le prime richieste di pagamento del debito accumulato dalla compagnia nazionale del gas ucraina, accusandola di prelevare illegalmente il gas destinato all’esportazione verso i paesi europei. La contesa culminò nel gennaio 2006 con la completa interruzione delle forniture russe di gas verso l’Ucraina (per tre giorni). Nel 2007, scoppiarono di nuovo scintille tra i due paesi (circa debiti ucraini nei confronti delle compagnie energetiche russe) e nel 2009 quando la sospensione delle forniture russe di gas paralizzò il comparto industriale ucraino, con pesanti ripercussioni anche sull’approvvigionamento europeo: diciotto paesi europei subirono forti cali o complete interruzioni dei propri approvvigionamenti (eppure allora nessuno decise di scendere in guerra accusando la Russia come oggi).
Le controversie energetiche tra Mosca e Kiev sembrarono appianarsi con l’elezione del nuovo presidente ucraino (e la firma nell’aprile 2010 di un trattato bilaterale Russia-Ucraina per regolare i futuri rapporti energetici tra i due paesi). Ora in Ucraina c’è un nuovo presidente Vladimir Zelensky il quale, nei giorni scorsi, ha annunciato che Kiev farà di tutto per sospendere le esportazioni di carbone e gas in vista di quello che ha descritto come “l’inverno più difficile”. “Durante questo periodo, non venderemo il nostro gas e carbone all’estero. Tutta la produzione si concentrerà sul soddisfacimento della domanda interna”. Peccato che la maggior parte del gas ucraino”. Peccato che la maggior parte del gas “ucraino” non è estratto in Ucraina: proviene dalla Russia, circa 40 miliardi di metri cubi di gas l’anno, il 10% della domanda europea. Il ministro degli Esteri ucraino, Dmytro Kuleba, ha accusato pubblicamente la Russia di aver rubato il gas ucraino per rivenderlo all’estero, ma il Cremlino è intervenuto per negare con forza questi ipotetici furti. Intanto, pero, nel Regno Unito (il paese che lo scorso anno ha speso oltre 60 miliardi di dollari in armi e armamenti) cominciano a fare notizia i furti di carburante.
La verità, ora come in passato, è che la verità sul petrolio e sul gas rubato e venduto di contrabbando (in Ucraina come in Africa e nel resto del pianeta) verrà a galla solo dopo che si sarà verificato qualche “incidente”. Fino ad allora continuerà il giro d’affari multimiliardario di chi traffica “oro nero”.