La Germania ha appena annunciato che, per compensare il gas che non arriva dall’Ucraina, dovrà incrementare l’uso del carbone.
Lo farà incurante degli effetti sulle emissioni in Germania e nel resto d’Europa: oltre il 26% delle emissioni di gas serra prodotte in Germania (come confermato dalla campagna Europe Beyond Coal) derivano dal carbone. Per questo era stata prevista la chiusura di alcune centrali a partire dal 2022.
Ora la situazione sarebbe cambiata radicalmente. A costringere il governo tedesco ad anticipare i piani di emergenza sarebbe stata la situazione in Ucraina. Invece di attivare i 10 GW di carbone, lignite e petrolio che compongono la riserva di approvvigionamento solo a ottobre, come da programma in caso di stop al gas russo in vista dell’inverno, alcune centrali inizieranno da subito a produrre energia elettrica da fonti altamente inquinanti.
Un cambio di rotta che potrebbe avere effetti devastanti sul New Green Deal europeo: come ha dichiarato la ONG Client Earth, “tutti gli scienziati concordano: se qualcuno in Europa starà ancora bruciando carbone nel 2030, probabilmente tutti mancheremo gli obiettivi climatici globali”. Secondo uno studio dell’ICIS, la decisione di non rinunciare all’energia prodotta bruciando carbone in Germania farà lievitare le emissioni energetiche di tutta l’UE di una percentuale stimata tra il 4 e il 5% nel 2023 e nel 2024. “Con il carbone e la lignite ad alta intensità di carbonio in funzione, le emissioni di carbonio del settore energetico tedesco aumenterebbero di ben il 20% nel 2023 e del 17% nel 2024 nello scenario della riserva di approvvigionamento. A livello europeo, la riserva aumenterebbe le emissioni di circa il 4% in entrambi gli anni, salendo al 5% con un’ulteriore penalizzazione del gas”, si legge in un rapporto dell’ICIS.
Secondo alcuni, però, la decisione presa dal governo tedesco (e da altri paesi come la Polonia) potrebbe non essere legata direttamente a quanto sta avvenendo in Ucraina. In Polonia, solo pochi anni fa, l’organizzazione internazionale Bankwatch denunciò i prestiti concessi dalla Banca europea degli investimenti (EIB) e dalla sua partecipata, la Banca europea per la ricostruzione e lo sviluppo (EBRD) a società che estraevano e bruciavano carbone. Durante la COP24, vennero lanciate pesanti accuse verso la Polonia, che avrebbe ricavato l’80% della propria energia dal carbone.
Ancora peggiore, se possibile, la situazione in Germania. Nel 2020, nella regione del Nord Reno-Westfalia, cinque villaggi (Berverath, Keyenberg, Kuckum, Oberwestrich, Unterwestrich) insorsero contro il rischio di essere rasi al suolo (altri 17 erano già stati distrutti e solo in certi casi riedificati in altre aree) per consentire l’espansione di una delle più grandi miniere a cielo aperto di lignite, quella di Garzweiler. Scoppiarono proteste da parte della popolazione locale: “Il prossimo villaggio a essere distrutto sarà Keyenberg nel 2023. Al momento si trova a circa 200 metri da dove si svolgono le attività estrattive in corso”, denunciarono i cittadini all’associazione Menschenrecht vor Bergrecht (Diritti umani prima dei diritti minerari). “Non è solo una questione di non spostarci dal posto dove viviamo. La combustione del carbone è tra le maggiori cause dei cambiamenti climatici. Questo progetto di ampliamento è contrario all’Accordo di Parigi sul clima e danneggia l’ambiente”, dichiarò Andreas Cichy, uno dei componenti del gruppo.
Secondo l’Agenzia Europea per l’Ambiente, la Germania è tra i paesi europei dove si è bruciato più carbone. I dati dell’istituto Fraunhofer lo confermano: nel 2019, circa il 30% dell’elettricità generata in Germania derivava dal carbone. Sul territorio tedesco ci sono 74 centrali attive (fonte Global Energy Monitor), con la più alta capacità installata a livello europeo. La guerra in Ucraina e la carenza di risorse energetiche ha dato la scusa per continuare a utilizzare il carbone e la lignite. Anzi per aumentarne la produzione in barba al New Green Deal della Von der Leyen e alle promesse ambientaliste fatte ai cittadini.