Uno degli slogan del Sessantotto era “la fantasia al potere”; adesso dopo mezzo secolo stiamo sperimentando “la follia al potere” e non è affatto piacevole.
Dopo trent’anni, la globalizzazione espansiva (1989 – 2019) è terminata; ma vi è una fortissima resistenza a cambiare approccio con una strenua resistenza nella difesa del neo-liberismo spinto.
Agli inizi del 2020, l’esplosione della pandemia aveva mostrato chiaramente le interdipendenze pericolose (respiratori, mascherine, bombole per l’ossigeno, macchinari); con uno slancio di buona volontà si erano aperti (spesso riaperti) laboratori tessili per le mascherine ed officine meccaniche per approntare sostituiti dei respiratori introvabili (la Cina non li forniva privilegiando la domanda interna).
Doveva essere un chiaro campanello di allarme, ma è stato totalmente ignorato pur mostrando chiaramente la dipendenza dalla fabbrica del Mondo (la Cina) e da situazioni simili, che si erano generate con la delocalizzazione selvaggia degli ultimi decenni (per poter fare sempre più profitti).
Nel lontano 2006, avevo letto un libro “Tre miliardi di nuovi capitalisti”, scritto da Clyde Prestowitz: riportava un dialogo con il figlio, che aveva investito i suoi risparmi in un’azienda del Nord della California, proprietaria di macchinari per rimuovere la neve dalle strade.
Aveva chiesto al figlio il perché di quella scelta di investimento e questi aveva risposto: “perché è un’attività che non possono delocalizzare in Cina, la neve va rimossa qui in California”; aggiungendo il figlio che vedeva dappertutto aziende già chiuse, o che stavano chiudendo, ed una sempre maggiore desertificazione produttiva con un numero notevole di persone che rimanevano senza lavoro (senza reddito e senza dignità).
Attenzione Prestowitz è stato consigliere del Segretario al Commercio dell’Amministrazione Regan, saggista e collaboratore della rivista “Foreing Affairs”, insomma non un pericoloso estremista di sinistra; ma nel libro (2005 nella prima edizione in inglese) poneva molto seriamente il problema della delocalizzazione produttiva e del prevalere della finanza sull’economia reale (anticipando il disastro globale della crisi finanziaria USA degli anni 2007 – 2008 e seguenti).
Torniamo all’oggi, dopo avere reso dipendente l’Unione Europea dalle sue risorse energetiche; inopinatamente la Russia invade l’Ucraina (ma c’erano già stati 14.000 morti nel 2014); in prima battuta l’Europa sembra svegliarsi dal suo torpore, varando tempestivamente misure per l’accoglienza ai rifugiati “Cohesion’s Action for Refugees in Europe” (CARE).
E’ noto che quando hai una guerra ai tuoi confini, stai sanzionando duramente l’aggressore e fornendo armi al resistente, non si può parlare di una situazione ordinaria (includendo anche la pandemia che non è ancora finita); bisogna decidere interventi radicali e fuori dal normale di supporto socioeconomico.
Certo, ma attenzione, i principi non si toccano: “le basi ultra-liberiste dell’Unione Europea” a guida olandese con i suoi fiancheggiatori (e la totale latitanza di Germania e Francia); mentre i Trattati di Roma dicono tutt’altro: “politica di coesione”, sostegno tra Stati membri, unità nel reagire alle crisi esogene.
Niente di tutto questo viene messo in atto, si assiste da sei lunghissimi mesi alla follia dell’escalation del prezzo del gas (che era già partita prima della guerra, in relazione alla ripartenza economica successiva alle chiusure determinate dal Covid), e non si riesce a mettere in agenda neanche una riunione dei ministri competenti per “parlarne”, attenzione non per prendere una “decisione” sul tetto europeo al prezzo del gas, soltanto per parlarne (prima a metà Ottobre, poi di fronte al disastro in corso anticipata al 9 Settembre).
In questo modo si distrugge l’economia europea, le imprese chiudono, le attività economiche falliscono, ma il mercato è sovrano e non si può intervenire; neoliberismo senza pesi e bilanciamenti.
Una delle regole importanti dell’Unione e che questa può intervenire in quello che i Regolamenti europei definiscono “fallimento del mercato”, ossia quando per un qualsiasi motivo il mercato non funziona oppure non è in grado di autoregolarsi.
Il caso attuale è lampante, il prezzo del gas è passato dai 20 Euro al MWh del Gennaio 2021 ai 340 Euro al MWh del 25 Agosto 2022, oltre quindici volte tanto, un aumento di oltre il 1.500 per cento (si state leggendo bene, non è un errore di stampa).
Ma questo mercato di TTF di Amsterdam è un vero mercato, oppure è una trappola? Perché l’Unione Europea dipende dal prezzo del gas fissato nei Paesi Bassi?
Il prezzo del gas in Europa si decide in territorio olandese, perché ad Amsterdam ha sede l’ICE Endex, dove viene gestito lo scambio dei contratti (futures) di questa fonte energetica all’interno della Title Transfer Facility (TTF), il punto di scambio virtuale (non reale) per il gas dell’Europa continentale; il sistema è gestito da Gasunie, la Società statale olandese che si occupa del trasporto del gas (ossia come se SNAM gestisse il sistema per fissare il prezzo del gas in tutta Europa).
Ma c’è di peggio, un pugno di operatori fa il prezzo su un quantitativo ridotto di transazioni; infatti, a Londra esiste la borsa del “Brent”, dove ogni giorno vengono scambiati contratti di acquisto e vendita del petrolio per un valore di circa 2.000 miliardi di dollari; qualunque operatore petrolifero è in grado, in ogni momento, di effettuare acquisti e vendite, nonché operazioni di copertura del rischio trovando la liquidità necessaria.
Ebbene, in Europa i volumi fisici di gas consumati sono paragonabili a quelli del petrolio, ma la “cosiddetta” borsa del gas di Amsterdam vede scambi di contratti per circa uno o due miliardi di Euro al giorno, ossia migliaia di volte meno della borsa petrolifera di Londra.
Inoltre, non esiste alcuna possibilità per gli operatori di usare i tipici strumenti di gestione dei rischi legati alle transazioni nella borsa di Amsterdam; non c’è sufficiente liquidità e non ci sono volumi fisici a supporto dei contratti finanziari scambiati; pertanto, ad ogni richiesta aggiuntiva alla normale routine (fatta di pochi volumi) si verifica un impazzimento del prezzo.
Nella sostanza, non si tratta di una vera e propria borsa, ma di un piccolo mercato di operatori; che tiene in ostaggio tutta l’economia europea per la pervicacia olandese (e dei suoi accoliti) nel difendere gli speculatori che stanno facendo guadagni stellari.
Il gas più caro che importiamo è quello liquido dagli Stati Uniti; il prezzo, chiamato Henry Hub, viene stabilito attraverso le transazioni che si effettuano al terminale di esportazione in Florida per il totale dei volumi esportati verso tutto il Mondo.
Quindi, si può ritenere un indicatore globale trasparente ed accettato in tutti i mercati mondiali; tanto per dare un’idea, attualmente il prezzo Henry Hub oscilla tra 1/3 ed 1/4 del prezzo TTF olandese, nonostante quello americano sia gas liquido e più costoso; basterebbe ancorare il prezzo del gas europeo a quello statunitense per vedere di colpo una riduzione molto consistente al 25-33 per cento del prezzo olandese attuale, che ci tiene in ostaggio.
E’ chiaro che ci stiamo facendo molto male da soli, distruggendo l’economia europea e facendo una grande favore a Putin (che sta guadagnando cifre enormi), senza che a Bruxelles nessuno intervenga; perché il mercato libero non si tocca (ma abbiamo visto sopra di quale parodia di mercato stiamo parlando).
La globalizzazione espansiva è finita: prima la pandemia, poi la guerra, ma anche il mutato orientamento della Cina (almeno da cinque anni a questa parte) con le minacce sempre maggiori a Taiwan (e non solo), che significa il 90 per cento della produzione mondiale di microchip; per non parlare delle terre rare e delle altre materie prime indispensabili per la transizione ecologica e climatica monopolizzate dai cinesi in questi anni; mentre l’Occidente si occupava soltanto di finanza e di profitti, non di lavoro e di investimenti come quelli che la Cina ha realizzato in Africa ed altrove.
Attualmente, la domanda di gas è pressoché costante (in realtà in lieve diminuzione); è chiaro che è necessario ripensare totalmente le modalità di approvvigionamento in Europa, ma questo va fatto in una logica di gestione delle fonti strategiche con contratti a medio lungo termine (non con future nelle borse speculative), seguendo il corretto approccio di Enrico Mattei, che era servito a farci uscire dalle enormi problematiche energetiche (leggi oligopolio delle Sette Sorelle) post Seconda guerra mondiale.
Infatti, nella crisi attuale le reti di relazioni a livello mondiale costruite in 70 anni hanno consentito ad ENI di diversificare notevolmente gli approvvigionamenti in pochi mesi, cosa che non è stata possibile per la Germania e per la Francia (che ha metà delle sue centrali nucleari ferme per manutenzione a causa della siccità).
Anche se con molto ritardo è giunto il tempo di ripensare l’economia europea a vari livelli, riportando sul nostro territorio almeno le produzioni strategiche per non essere ostaggio di autocrazie, che stanno facendo sfoggio di volontà di potenza in vari modi; i tempi, le situazioni ed i contesti cambiano e la nostra resistenza al cambiamento ci sta arrecando enormi danni economici e sociali.