I solenni funerali della regina Elisabetta II irrompono con uno stridente contrasto nella campagna elettorale italiana quasi a sottolineare quanto ancora lunga sia la strada della nostra “giovane repubblica” verso un senso compiuto dello Stato e ancora approssimativa la conseguente identificazione da parte di coloro che sono chiamati a servirlo nel luogo della massima sovranità popolare rappresentato dal Parlamento.
Con superficialità qualcuno ha guardato allo sfarzo delle cerimonie previste dal protocollo britannico come dimostrazione di un passato pieno di retorica e di ipocrisia, dimenticando che in tali occasioni non si celebrano singole persone ma l’idea stessa di una nazione che tanto ha insegnato al mondo intero parlando il linguaggio dei tempi che di volta in volta si sono avvicendati e nei quali le singole azioni vanno contestualizzate.
Tanto dell’idea stessa di democrazia dobbiamo ad un regno che ha attraversato i secoli passando dall’autocrazia alla partecipazione costituzionale e popolare, che ha conquistato e dominato larga parte delle terre emerse ma ha saputo restituire libertà ed autonomia ai popoli che le hanno invocate e che ancora oggi ne conservano la lingua e le istituzioni, che si erse a baluardo della civiltà negli anni bui della seconda guerra mondiale affrontando sofferenze inenarrabili, che ha dato alla tradizione il giusto valore mentre il Regno Unito diventava rifermento culturale nella moda, nella musica e nella cultura per tutti i giovani del mondo e che negli ultimi anni hanno trovato anche un lavoro dignitoso e commisurato alle proprie competenze. Su tutto questo un monarca costituzionale che ha regnato ma non governato per oltre settant’anni in due secoli in cui il mondo ha conosciuto sconvolgimenti di ogni genere.
Mentre metà dell’Umanità segue con commozione l’ultimo viaggio di Elisabetta II, si avvicinano i giorni di un appuntamento elettorale che sarà altrettanto storico per l’Italia.
Quanta differenza tra la compostezza del popolo britannico, il cordoglio di tanti ex primi ministri conservatori o laburisti, il silenzio rispettoso dei cittadini di ogni età, sudditi nel cuore ma non nella dignità politica e nella sovranità democratica, che hanno affollato ogni tratto del percorso dal castello di Balmoral a quello di Windsor, con le manifestazioni chiassose e volgari di questa campagna elettorale che vede candidati quattro ex premier che battibeccano tra loro senza risparmiare lo spettacolo di frequenti cadute di stile per non parlare di insulti incrociati che ne sminuiscono la già precaria statura.
La Repubblica dei primi decenni riuscì ad avere una propria solennità che oggi pare rimasta confinata soltanto nelle stanze del Quirinale mentre negli altri palazzi bivacca una classe dirigente inadeguata e volgare.
Cosa è possibile imparare da quanto si svolge in queste ore nel Regno Unito?
Ovviamente non certo la forma istituzionale che, ormai saldamente repubblicana, non può nutrire nostalgie di alcun genere che peraltro rinvierebbero ad una dinastia di provincia, inadeguata e pavida, che aprì le porte al Fascismo cento anni fa, promulgò le Leggi Razziali e fuggì nella notte dalla Capitale.
Ciò che possiamo imparare è invece la consapevolezza che il servizio nelle istituzioni non può realizzarsi in assenza di qualità umane e culturali di elevato rilievo; che per ottenere ciò le classi dirigenti vanno selezionate per merito e formate in appositi percorsi pubblici e non affidati ai limiti delle singole forze politiche, ormai prive di radici e di prestigio; che l’uscita di scena, quando è il momento, deve essere dignitosa , definitiva e senza ridicoli ritorni nè patetica presunzione della propria personale indispensabilità.
Infine, va posta una domanda inquietante: è possibile che la democrazia parlamentare sia giunta al proprio capolinea a causa dell’inadeguatezza dei rappresentanti, spesso votati senza discernimento, e che ciò stia aprendo la strada a chi, interpretando a proprio vantaggio tale domanda di significato, sta abilmente prefigurando in più parti d’Europa e del mondo forme di presidenzialismo, quasi moderne monarchie senza radici nè prestigio, che rispondono ad un bisogno profondo da parte di ogni fascia sociale di rassicurazione e protezione in tempi sempre più difficili ?
Così scriveva Piero Calamandrei durante i lavori dell’Assemblea Costituente:
“Questo che noi facciamo è il lavoro che un popolo di lavoratori ci ha affidato, e bisogna sforzarci di portarlo a compimento meglio che si può, lealmente e seriamente… questa dev’essere una Costituzione destinata a durare…In questa democrazia nascente dobbiamo crederci e salvarla così con la nostra fede e non disperderla in schermaglie di politica spicciola e avvelenata. Se noi siamo qui a parlare liberamente in quest’aula…è perchè per venti anni qualcuno ha continuato a credere nella democrazia, e questa sua religione ha testimoniato con la prigionia, l’esilio e la morte…seduti su questi scanni non siamo stati noi, uomini effimeri…ma sia stato tutto un popolo di morti, di quei morti che noi conosciamo ad uno ad uno…Essi sono morti senza retorica, senza grandi frasi, con semplicità, come se si trattasse di un lavoro quotidiano da compiere: il grande lavoro che occorreva per restituire all’Italia libertà e dignità. Di questo lavoro si sono riservata la parte più dura e difficile; quella di morire…A noi è rimasto un compito cento volte più agevole; quello di tradurre in leggi chiare, stabili e oneste il loro sogno: di una società più giusta e più umana, di una solidarietà di tutti gli uomini, alleati a debellare il dolore. Assai poco, in verità, chiedono a noi i nostri morti. Non dobbiamo tradirli.” (Piero Calamandrei, Chiarezza nella costituzione, Editore Storia e Letteratura, 2012)
Il fascino, la chiarezza espositiva, la lungimiranza, la lucidità intellettuale e giuridica, il senso politico ed etico di queste parole sono un privilegio che ci viene concesso di riscoprire e di cogliere ancora oggi. Un punto di vista, di cui non dovremmo privarci, ma da cui dovremmo trarre insegnamento per il nostro presente e per il nostro futuro, usandolo come una bussola per puntare a raggiungere quel nord di civiltà, di libertà, di garanzie, in una parola di democrazia, che abbiamo sempre di più perso di vista.
Che fare allora mentre perfino le ex socialdemocrazie scandinave sembrano guardare in una direzione autoritaria di cui l’intera parte orientale dell’Europa è già concreta epifania, mentre negli Stati Uniti si riaffaccia lo spettro di Donald Trump?
E’ ancora possibile conferire rilevanza e prospettive future alle grandi democrazie liberali in Francia, in Germania, in Spagna o in Italia ormai strette in un assedio disperato?
Lo ritengo praticabile soltanto archiviando ogni residuo ideologico ancora nascosto in alcuni partiti italiani grandi e piccoli, isolando il populismo contrapponendovi la qualità dei rappresentanti e dei governanti, costringendo la Destra a fare i conti pubblicamente con il proprio passato per costruire, invece, una compagine autenticamente liberale ed europeista che in Italia è sempre mancata e di cui la Democrazia Cristiana ha fatto le veci tra mille contraddizioni ed incoerenze, fino alla propria implosione.
Solo a queste condizioni sarà possibile evitare che al funerale affollato e commosso di una grande regina “del popolo” si aggiunga presto quello disadorno e deserto dell’idea di Democrazia.