Il 20 febbraio si è celebrata la Giornata mondiale della Giustizia Sociale, il World Day of Social Justice. “Il progresso sociale deve essere posto sotto i riflettori, affiancato da politiche che possono portare a un cambiamento significativo per milioni di persone attualmente in difficoltà, Dobbiamo sviluppare politiche più eque ed equilibrate che generino il consenso politico per guidare il cambiamento”, ha dichiarato la vice-segretaria delle Nazioni Unite, Amina Mohammed.
In tutto il mondo, povertà e le disuguaglianze sono piaghe profonde. Tra i paesi e tra i gruppi sociali all’interno dei singoli paesi. Come per molti altri Obiettivi dello Sviluppo Sostenibile o SDGs, la situazione non mostra miglioramenti concreti. Anzi. A livello globale, il divario che esiste tra ricchi e poveri continua a crescere: i ricchi sono sempre più “ricchi” e i poveri sempre più poveri. Secondo i dati più recenti, il 10% più “ricco” della popolazione mondiale possiede circa il 52% del reddito globale. Al contrario, la metà più povera solo il 6,5%. Enorme il divario tra i vari paesi: si va da un prodotto interno lordo annuo pro capite di circa 600 dollari del paese più povero (a parità di potere d’acquisto) a oltre 115.000 dollari nel paese più ricco.
Molte le conseguenze di questo fenomeno. Nel settore sociale (in particolare tra i giovani) ma anche nel settore ambientale. Nel mondo, 2 miliardi di persone lavorano in nero, senza alcun tipo di contratto di sostegno sindacale, contratto di lavoro, “protezione” o altro. Per loro la pandemia e le guerre (una costante in tutto il pianeta, non solo in Ucraina, come qualcuno vorrebbe far credere) hanno peggiorato la situazione. Ad essere più colpiti sono sopra tutto i giovani: almeno 290 milioni di minori sono privi di istruzione, lavoro o formazione. Per loro il futuro è davvero incerto.
“In tutto il mondo le persone stanno lottando per riprendersi dalle ricadute socioeconomiche della pandemia di Covid-19, che ha devastato vite e approfondito le disuguaglianze. In effetti, la pandemia di corona virus ha esacerbato la disuguaglianza globale, invertendo il declino degli ultimi due decenni. La quota delle donne sul reddito totale da lavoro è inferiore al 35%, solo un aumento del 5% rispetto al 1990. Allo stesso tempo, 214 milioni di lavoratori vivono in condizioni di estrema povertà, con meno di 1,90 dollari al giorno, e il numero di lavoratori poveri è in aumento nei Paesi in via di sviluppo. Ma, anche prima dell’inizio della pandemia nel 2020, troppi erano già costretti a guadagnarsi da vivere con meno di 2 dollari al giorno senza diritti e protezione sociale e poche prospettive per un futuro migliore. Quando c’è uno squilibrio tra crescita economica e politica sociale, spesso seguono instabilità politica e disordini. Ecco perché abbiamo bisogno di una più stretta convergenza tra i quadri sociali e normativi delle Nazioni Unite e le politiche perseguite dalle istituzioni finanziarie internazionali. L’Agenda 2030, rinvigorita dalla Our Common Agenda, fornisce un progetto per rimettersi in carreggiata e salvare gli Obiettivi di sviluppo sostenibile (SDG). Ricordiamo sempre a cosa mirano i risultati: al centro della giustizia sociale ci sono le persone, in particolare le nostre donne e i nostri giovani, anticipando discussioni fruttuose e costruttive per soddisfare i bisogni di milioni di persone”, ha dichiarato la Mohammed.
Il divario tra ricchi e poveri, tra paesi ricchi e paesi poveri, che ha conseguenze importanti anche nella capacità di far fronte ai cambiamenti climatici in atto. Durante la pandemia i vaccini sono arrivati in minima parte nei paesi più poveri: per la maggior parte sono stati distribuiti alle popolazioni dei paesi più ricchi. La capacità di far fronte alle emergenze climatiche è strettamente correlata con il divario economico e sociale tra paesi ricchi e paesi poveri e, all’interno dei confini, tra fasce più ricche e fasce più deboli della popolazione (come ha dimostrato quanto sta avvenendo in Turchia e in Siria.
Secondo i dati raccolti dal link tank Word ineguality, co-diretto dall’economista Thomas Piketty e da ASVIS, il 10% più ricco della popolazione mondiale produce circa metà di tutti gas a effetto serra emessi nell’atmosfera. “Il consumo e il modello di investimenti di una parte relativamente piccola della popolazione mondiale contribuisce, direttamente o indirettamente, in modo sproporzionato alle emissioni globali di gas a effetto serra”, dicono gli esperti. Per risolvere questo problema sarebbe necessaria “una profonda trasformazione dei regimi fiscali, nazionali e internazionali, e adottare sistemi di tassazione progressivi”.
Una situazione confermata anche dai dati Oxfam: il 10% dei cittadini europei più ricchi (ovvero quelli con un reddito superiore a 41.000 euro all’anno) sarebbe responsabile di oltre un quarto (il 27%) delle emissioni totali; il 40% degli europei con un reddito medio è responsabile del 46% delle emissioni, mentre l’1% più ricco (chi supera gli 89mila euro/anno) di ben il 7%.
L’Italia non fa eccezione. Anzi. Secondo lo studio The concentration of personal wealth in Italy 1995-2016, la ricchezza dello 0,1% degli italiani più ricchi è raddoppiata (e quella dello 0,01% triplicata) dalla metà degli anni ’90, mentre quella posseduta dalla metà più povera del Paese è calata dell’80%.
Ormai, secondo gli esperti delle nazioni Unite, la sfida è porre rimedio alla “combinazione tossica di crisi che si rafforzano a vicenda – inflazione, debito, aumento dei prezzi di cibo e carburante, tensioni e conflitti geopolitici, cambiamento climatico – minacciano di aumentare la povertà, la disuguaglianza e la discriminazione in tutto il mondo”. Come riportato nella Our Common Agenda, il piano ONU per realizzare i 17 obiettivi dell’Agenda 2030, è fondamentale cambiare rotta. Invece, “mentre i responsabili politici si concentrano sulla necessità di fare progressi su questioni economiche e ambientali, viene prestata meno attenzione al terzo pilastro necessario per la ripresa: il progresso sociale”.
Di tutto questo si è parlato durante un evento organizzato in occasione del World Day of Social Justice, in Kirghizistan, con la collaborazione dell’International Labour Organization (ILO). Molti gli spunti programmatici emersi nei colloqui. Le possibili soluzioni alle “attuali immense sfide globali che hanno un profondo impatto sulle questioni sociali, tra cui l’aumento dei prezzi alimentari, la crisi climatica e la recessione economica”, ha dichiarato il delegato del Cile. Sfide che non devono perdere di vista il problema delle risorse economiche: “la giustizia sociale richiede un’azione fiscale a livello nazionale incentrata sulla tassazione, comprese le tasse sul patrimonio. In effetti, la disuguaglianza nella ricchezza supera di gran lunga gli attuali gap di reddito. Le risorse per garantire ampie entrate fiscali devono essere adattate alle esigenze esistenti, accanto a misure che assicurino sussidi alle persone più povere”.
Al termine dei lavori gli esperti dell’ILO hanno presentato un piano con suggerimenti innovativi per sostenere il progresso della giustizia sociale. Come ha ricordato il direttore generale dell’ILO, Gilbert F Houngbo: “Se desideri la pace, coltiva la giustizia. Questa frase è scritta nei fondamenti dell’ILO, letteralmente. È su una pietra nelle fondamenta del nostro primo edificio, la nostra prima sede a Ginevra. Si riferisce alla giustizia nel senso più ampio. Significa giustizia nella vita per l’umanità. In altre parole, giustizia sociale”. Al contrario, se non si coltiverà una migliore giustizia sociale, la conseguenza sarà un aumento dei disordini sociali (si pensi a quanto è avvenuto negli USA e in Brasile).
“Non bisogna pensare all’economia o alla finanza come al diavolo” ha detto Houngbo. Ma non bisogna dimenticare che quello economico, quello sociale e quello ambiente sono tutti e tre i pilastri su cui si fonda lo sviluppo sostenibile. Basta che uno di essi venga meno e tutto è destinato a diventare incredibilmente instabile. In questo momento, sembra che a mancare siano non uno ma tutti e tre questi pilatri.