Osho Rajneesh, mistico e maestro spirituale indiano, ha descritto la condizione dell’isolamento con queste parole: “L’isolamento è uno stato negativo: essere isolato significa sentirsi avvolto dall’oscurità, dal dolore, dalla disperazione. Il mondo è pieno di gente che si sente isolata; a causa di questo isolamento fa le cose più sciocche nel tentativo di riempire quella ferita, quel buco, quel vuoto…”.
I dati delle mie ricerche, confermate dalla survey che ho condotto nei primi mesi della pandemia, confermano come le nuove tecnologie siano parte integrante delle vite dei preadolescenti e degli adolescenti. Le percentuali che sono riuscito ad ottenere, intervistando un campione di 1858 tra ragazzi e ragazze, evidenziano che il 100 per cento (99,6 per cento) degli intervistati possiede uno smartphone l’80 per cento (88,8 per cento) ha un computer.
Questo significa che i giovani trascorrono buona parte del loro tempo online. Le tecnologie possono fornirci supporto in tanti settori, ma se utilizzate in modo sbagliato generano fenomeni preoccupanti.
Uno di questi è il “Hikikomori”, forse favorito dalla pandemia, mostra percentuali molto alte. Il termine hikikomori viene dal Giappone e significa “stare in disparte” e serve ad determinare quanti cercano di allontanarsi dalla vita sociale per tanto tempo (da alcuni mesi fino ad arrivare a diversi anni), rinchiusi a casa, senza alcun rapporto con il mondo reale e in alcuni casi nemmeno con la propria famiglia.
In questi giorni La Repubblica, cosi come tanti altri siti d’informazione, ha pubblicato nuovi numeri: in Italia sono circa 54mila gli studenti di scuola superiore che si identificano in una situazione di ritiro sociale. A dirlo è Sabrina Molinaro, ricercatrice dell’istituto fisiologia clinica del Cnr di Pisa, che ha portato avanti il primo studio nazionale – voluto dalla Onlus Gruppo Abele in collaborazione con l’Università della Strada – per dare una valutazione più concreta di quanto sta accadendo.
In Italia “il 2,1% del campione di oltre 12mila studenti intervistato attraverso un questionario attribuisce a sé stesso la definizione di Hikikomori”.
“Il 18,7% – sostiene Molinaro – dice di non essere uscito per un tempo significativo, escludendo i periodi di lockdown, e di questi l’8,2% non è uscito per un tempo da 1 a 6 mesi e oltre: in quest’area si collocano sia le situazioni più gravi (oltre 6 mesi di chiusura), sia quelle a maggiore rischio (da 3 a 6 mesi). Le proiezioni ci parlano di circa l’1,7% degli studenti totali (44.000 ragazzi a livello nazionale) che si possono definire Hikikomori, mentre il 2,6% (67.000 giovani) sarebbero a rischio grave di diventarlo”. La fascia d’età più a rischio è quella compresa tra i 15 e i 17 anni.
Le motivazioni sono tante: caratteriali, familiari, scolastiche e sociali. La dipendenza da internet viene designata come una delle cause del fenomeno. In realtà, diversi studi dimostrano che la rete sia una conseguenza dell’isolamento e non la causa. L’inadeguatezza ha la sua importanza e gli episodi di bullismo sembrano non essere fra le cause più consuete della decisione.
“Ciò che colpisce – mette in evidenza la dott.ssa Molinaro – è che si tratta di ragazzi che vanno piuttosto bene a scuola e che provengono da famiglie che non hanno problemi economici ma hanno un vissuto difficile con i pari e spesso hanno avuto prescrizione di psicofarmaci in passato”. E i genitori?, come riporta anche Il Fatto Quotidiano, grazie all’articolo di Alex Corlazzoli, dimostrano di avere: “trascuratezza (19,2%), per cui quasi un quinto dei genitori sembrano, agli occhi dei figli, non essersi accorti dell’isolamento; incomprensione (26%), per cui, stando alla percezione dei figli, più di un quarto dei genitori paiono accettare il dato di fatto senza porsi domande; preoccupazione (14,8%), per cui meno di un settimo dei genitori si manifestano preoccupati, ricorrendo al medico e/o mettendosi in contatto con la scuola. Alcuni reagiscono punendo i figli per il loro comportamento (risposta fornita dal 6,1%.). Sono ragazzi che non sentono l’affetto dei genitori. Le famiglie più a rischio sono quelle ricostituite dove c’è un certo caos.”.
La scuola invece ha dimostrato di essere più interessata e alcuni uffici scolastici regionali permettono di fruire di una certificazione, rilasciata dall’Azienda sanitaria locale di competenze, che testimonia la “condizione di ritiro sociale”. In questo modo la scuola riesce anche ad organizzarsi attraverso la parziale deroga all’obbligo di frequenza, evitando come conseguenza la perdita dell’anno scolastico.
Oggi, è davvero importante che le scuole, gli insegnanti, i ragazzi e i genitori siano informati su questo fenomeno e anche su come trovare le soluzioni adatte al problema.
I genitori devono comprendere i silenzi dei propri figli, perché a volte soffrono e non riescono a parlare del dolore che provano. Un figlio non va punito, ma bisogna avvicinarsi a lui per permettergli di chiedere aiuto. Il cambiamento viene chiesto ai genitori che devono impegnarsi per fronteggiare il hikikomori e tante altre derive della rete (Vamping, cyberbullismo, sexting, revenge porn).
Dobbiamo essere pronti a conoscere anche il Metaverso, la realtà virtuale parallela, perché è in questo universo che bambini e adolescenti sono immersi, senza controlli da parte degli adulti che spesso dimostrano di conoscere meno dei loro figli la dimensione online. Così il mondo si rovescia: per la prima volta sono i ragazzi che insegnano ai genitori, con tutte le conseguenze di fragilizzazione del rapporto che da ciò può derivare. Il Metaverso è ancora poco conosciuto e già al suo interno è possibile incontrare diversi pericoli o minacce da parte di avatar, dietro cui si celano malintenzionati.
Continuo a ripetere, ormai da mesi, che è necessario prima documentarsi in maniera precisa e poi avviare campagne di sensibilizzazione per fronteggiare le nuove emergenze sociali. L’isolamento va combattuto e a farci paura, cosi come sostiene Eugenio Borgna, psichiatra e saggista italiano, deve essere quello causato dal deserto delle emozioni. Mura altissime che allontano la gioia e soprattutto la presenza degli altri nella vita di tanti giovani.