Nei giorni scorsi l’Alto rappresentante per la politica estera dell’Unione europea Josep Borrell ha commentato duramente l’arresto in Russia del giornalista del Wall Street Journal, Evan Gershkovich, accusato di spionaggio. “L’Ue condanna la detenzione in Russia del giornalista e cittadino americano Gershkovich. I giornalisti devono essere liberi di lavorare e meritano protezione”, ha dichiarato Borrell.
La risposta alle sue dichiarazioni non si è fatta attendere. “Josep dimostra le tue parole, difendi Julian Assange e Marat Kasem. Per equilibrio”, ha affermato la portavoce del ministero degli Esteri russo, Maria Zakharova, citando il caso del fondatore di Wikileaks in carcere in Gran Bretagna in attesa di estradizione negli Stati Uniti, e del caporedattore della redazione lituana di Sputnik arrestato lo scorso gennaio in Lettonia con l’accusa di spionaggio.
Dopo l’arresto del giornalista americano il Wall Street Journal aveva lanciato una campagna sotto lo slogan “Let him go”, “lasciatelo andare”. Anche il presidente degli Stati Uniti d’America, Joe Biden, aveva chiesto alla Federazione Russa il rilascio di Evan Gershkovich. Durante il suo viaggio in Mississipi alla domanda di un cronista che chiedeva se intendesse espellere diplomatici russi in risposta all’arresto, il presidente americano aveva, però, fatto un passo indietro: “Non è questo il piano, al momento”. Secondo il Wall Street Journal, “sarebbe il minimo” che l’ambasciatore di Mosca fosse mandato via dal paese, affermando che “il primo dovere del governo degli Stati Uniti è proteggere i propri cittadini, e troppi governi oggi ritengono di poter arrestare e incarcerare gli americani impunemente” e che “la tempistica dell’arresto sembra una provocazione calcolata per mettere in imbarazzo gli Stati Uniti e intimidire la stampa straniera che ancora lavora in Russia”.
A queste dichiarazioni aveva tempestivamente risposto il portavoce Dimitry Peskov: “Dal momento che questo giornalista è stato colto in flagrante, la situazione è ovvia”. “Il giornale è libero di chiedere l’espulsione di tutti i giornalisti russi, ma questo non dovrebbe accadere. Non c’è alcun motivo per farlo. Sarebbe assurdo e sbagliato limitare i diritti dei giornalisti in buona fede”, ha aggiunto. Per quanto riguarda Evan Gershkovich, “in questo caso ci troviamo di fronte ad attività di spionaggio mascherate da giornalismo”, ha aggiunto Peskov.
Altro botta e risposta, altra polemica.
Dimitry Muratov, giornalista russo vincitore del premio Nobel per la pace nel 2021, ha detto di non credere alle accuse mosse a Gershkovich: “Gershkovich ha lavorato in testate autorevoli”, dove la commistione tra giornalismo e intelligence statale “non solo non è la benvenuta, ma è categoricamente fuori discussione e proibita”. Secondo Muratov sarebbe in atto una stretta da parte del governo russo sui media non governativi. Al suo giornale, Novaya Gazeta, è stata revocata la licenza dalla Federazione. “Decine di giornalisti sono stati costretti a lasciare il paese. Oltre 260 testate non governative sono state chiuse, bloccate o è stata revocata la loro registrazione, come è avvenuto con Novaya Gazeta”, ha detto Muratov.
Molti giornalisti hanno espresso il proprio sostengo a favore del collega arrestato ma non sono meno quelli che hanno fatto lo stesso per Julian Assange.
Secondo l’associazione RSF Reporters Without Borders, il problema non riguarda solo Julian Assange o Evan Gershkovich: in questo momento sarebbero 544 i giornalisti attualmente in carcere (e 21 operatori dei media) in diversi paesi del mondo. E il problema non riguarda solo Stati Uniti d’America e Russia, rispettivamente al 42esimo e al 155esimo posto della graduatoria annuale di RSF. Il problema della libertà di stampa e della manipolazione in ogni modo dell’informazione è una piaga della quale si parla poco e si fa ancora meno.
La prova? La Russia occupa da sempre le ultime posizioni della classifica di RSF e la situazione è peggiorata dopo l’inizio della guerra in Ucraina. Quanto agli Stati Uniti d’America, una volta considerati un modello per la libertà di stampa e la libertà di parola, negli ultimi anni, le violazioni della libertà di stampa stanno aumentando a un ritmo preoccupante. Solo pochi giorni fa, Reporter senza frontiere (RSF) ha chiesto al governo della Florida di “respingere una proposta di legge che scoraggerebbe i giornalisti dal riferire in modo critico su personaggi pubblici senza timore di pene e ripercussioni legali”. Ma di questo non ha parlato nessun politico. Reporter senza frontiere ha condannato anche l’arresto da parte della polizia e della Guardia Nazionale dell’Ohio di un reporter, Evan Lambert, nel corso delle sue funzioni mentre seguiva il deragliamento del treno nella Palestina orientale, Ohio. Ma anche di questo non si è parlato. Né in Russia né negli USA. E cosa, ancora più grave, nemmeno negli altri paesi “sviluppati”. Come se di questi fatti non importasse a nessuno.
Due pesi e due misure per valutare lo stesso problema: la libertà di stampa spesso strumentalizzata per scopi politici.