Il sociologo polacco Zygmunt Bauman ha descritto le nostre vite come prodotto di consumo con queste parole: “Grazie alla spensierata ed entusiastica auto-esposizione dei Facebook dipendenti alle migliaia di amici online e ai milioni di flaneurs, i marketing manager sono in grado di imbrigliare i desideri più intimi, più personali e unici, consapevoli o solo semiconsci, già sviscerati o solo potenziali, nella macchina consumistica; in tal modo, quel che si affaccerà sugli schermi di Facebook potrà essere ora un’offerta personale, strategica, abbellita e accuratamente levigata tanto da risultare qualcosa di speciale per te”.
In tutto questo hanno una grande importanza le emozioni e il comportamento sociale degli individui. Il tema dell’urgenza emozionale ci riporta a quanto teorizzato da Castells relativamente alle modalità con cui si realizzano i comportamenti sociali che richiama il percorso di studi di Damasio teso a dimostrare il ruolo preminente delle emozioni e dei sentimenti nel comportamento sociale.
“La ricerca sperimentale mostra che l’operato di queste emozioni può essere correlato a specifici sistemi nel cervello. Le sei emozioni basilari sono: paura, disgusto, sorpresa, tristezza, felicità e rabbia. Specie o individui che non sono attrezzati con il corretto sistema di percezione emozionale hanno scarsa probabilità di sopravvivere. Le emozioni sono percepite nel cervello come sentimenti. […] I sentimenti derivano da mutamenti attivati per via emozionale nel cervello, i quali raggiungono un livello di intensità sufficiente per essere elaborati consciamente”. In questo senso il percorso di costruzione identitaria si trasforma in una rappresentazione del sé che ci faccia sentire parte del network. L’imperativo è non essere esclusi, la coscienza critica è minacciata dal bisogno di essere accettati e vivere in condizioni di falsa sicurezza. Nell’era del sovraccarico informativo, la proliferazione degli algoritmi punta sui nostri interessi e sull’attenzione indotta dalle nostre emozioni. Il sociologo Charles Seife ha scritto che: “Tutta questa interconnessione ci sta isolando. Stiamo diventando tutti solitipisti, intrappolati in mondi di nostra creazione. Un meccanismo che distrugge fiducia e capitale sociale”. Un cambiamento strutturale che porta con sé tante paure e la continua ricerca di sicurezze.
Stiamo vivendo nell’era della piattaformizzazione e della bolla dei filtri, quella in cui le piattaforme sfruttano quell’annullamento dei confini che altera profondamente la capacità di comprensione del contesto da parte degli individui. La società delle piattaforme, come definita da José van Dijck, Thomas Poell, Martijn de Waal, si caratterizza per generare conflitti tra sistemi di valori diversi e si muove sulla base di dinamiche opache. Ad avere la meglio sono “il potere dell’algoritmo” e “il potere del controllo delle menti”, un controllo virale che attraverso la virtualità ci accarezza benevolo e ci suggerisce quello che ritiene conveniente. La pandemia ha favorito la nascita di nuovi luoghi di costruzione del discorso pubblico sulla rete. Purtroppo, la disinformazione ha acuito, e continua ad esasperare, le dinamiche della polarizzazione, che per loro natura si oppongono ai processi di partecipazione democratica.
Troppe le strutture dell’inganno nel mondo liquido moderno e a mancare sono le consapevolezze. Questa crisi riguarda tutta la società e in particolare ha travolto i partiti politici. La sensazione è quella che la politica abbia perso il suo ruolo di corpo intermedio, capace di rispondere alle necessità dei cittadini. La propaganda, gli effetti del populismo e le fake news destabilizzano la popolazione. L’accesso alle informazioni avviene in modo parziale, solo attraverso alcuni canali e non altri, l’ambiente social convoglia i flussi di dati attraverso l’utilizzo di algoritmi sempre più sofisticati e applicativi sempre più intuitivi. Non vi è più controllo sulle notizie, che vengono condivise sempre più velocemente, dando luogo a viralità e personalizzazione dei contenuti. Ha un peso anche la proliferazione di falsi profili durante le campagne elettorali. I profili fake influenzano il voto, poiché servono ad aumentare la visibilità dei candidati populisti sui motori di ricerca e sui social creando di fatto un vantaggio indiretto che sfrutta la scarsa capacità degli individui di identificare le notizie false o distorte.
Grazie all’Intelligenza Artificiale è possibile creare numerosi deep fake (video falsi) che alimentano il mercato del clickbait (acchiappa clic). Questo mercato trova ampia diffusione sui social e sulla messaggeria veloce. Un contenuto web di questo tipo nasce con lo scopo di attirare il maggior numero di internauti, per incrementare la propaganda e i guadagni pubblicitari.
In una recente intervista Fabio Pasqualetti, Professore di Sociologia dei media digitali e Preside della Facoltà di Scienze della Comunicazione sociale dell’Università Pontificia Salesiana di Roma, rilasciata a Rocco D’Ambrosio e pubblicata sul portale Globalist.it, ha dichiarato che: “Potere e controllo dell’informazione (quindi tecnologie della comunicazione) è il modo con cui il potere si manifesta. Non è un caso che ad ogni colpo di Stato le prime infrastrutture che si controllano sono quelle dell’informazione e della comunicazione. Oggi per un certo senso, come dice Byung-Chul Han, il potere non necessariamente deve essere coercitivo: grazie al capitalismo della sorveglianza, la gente felicemente esibisce se stessa, produce quella necessaria visibilità (dati che diventano poi big-data) che permette ad un qualsiasi governo di esercitare un potere di controllo che fino ad oggi era inimmaginabile. Oggi la politica ha in mano strumenti di manipolazione mai avuti prima. […] Ma c’è un altro modo per corrompere la democrazia che è più invisibile. Da decenni si stanno iniettando nella gente i germi dell’individualismo, del narcisismo e dell’indifferenza che minano il bene comune, principio di ogni democrazia”. Il Professore Pasqualetti si dice convinto che sia necessario ricostruire la fiducia nella politica ed io condivido il suo pensiero. Un’operazione non facile, ma bisogna provare e cercare di cambiare rotta.
Bisogna arginare la disinformazione, il linguaggio populista e il sistema di manipolazione delle comunità. È necessario l’impegno di tutti per gestire la crescita di spinte sempre più individualistiche e per fermare l’utilizzo improprio della rete. Come? Iniziamo dall’ascolto dell’altro che rappresenta la base della corretta comunicazione.