I telegiornali hanno dato (non senza una certa soddisfazione) la notizia della restituzione di centinaia di opere d’arte italiane rubate e ricomparse negli USA, smerciate da trafficanti internazionali privi di scrupoli e acquistate da musei e collezionisti non meno criminali. Con un volo speciale sono rientrati in Italia 266 reperti archeologici. Opere d’arte il cui valore si aggirerebbe in diverse decine di milioni di euro. Capolavori che vanno dall’età villanoviana (IX/VIII sec a.C.) alla civiltà etrusca (VII/IV sec. a.C.), dalla Magna Grecia (V/III sec. a.C.) fino all’età romana imperiale (I-II sec d.C.).
Molte di queste opere, come spesso accade, sarebbero state scoperte grazie ad un evento casuale: 145 pezzi sono state riportate tra i beni inclusi nella procedura di bancarotta a carico di Robin Symes, un cittadino inglese. Altri 65 capolavori, invece, sono stati restituiti “spontaneamente” dal Menil Collection Museum di Houston. Ma solo dopo che i carabinieri aveva accertato la loro provenienza da scavi clandestini in aree archeologiche del territorio italiano e che la loro esportazione era illecita. Le opere erano state acquistate dal museo americano senza effettuare i dovuti controlli circa la legittima provenienza e proprietà.
Quella dei giorni scorsi è solo la punta dell’iceberg di un fenomeno, il traffico di opere d’arte, che ha dimensioni ben maggiori. A volte con aspetti sorprendenti. Lo stesso Symes, ad esempio, solo pochi anni fa era stato oggetto di un’altra indagine condotta dalle autorità italiane e svizzere che avevano sequestrato a Ginevra ben 45 casse contenenti reperti etruschi e romani. Nel 2017, era stato il Paul Getty Museum di Malibù a dover restituire all’Italia, sempre “volontariamente” (ma solo dopo essere stata scoperta) una statua in marmo raffigurante Zeus risalente al I-II secolo a.C. pare proveniente sempre da Symes. Alla fine del 2021 il Comando Carabinieri per la Tutela del Patrimonio Culturale (TPC) aveva condotto un’operazione riguardante “pezzi che fanno riferimento alle civiltà del nostro passato che, oltre al valore economico, hanno un grande valore artistico”: 201 opere finite nelle mani di trafficanti in Belgio, Paesi Bassi, Svizzera e Germania. Di quelle solo 161 vennero restituite in tempi brevi all’Italia: le restanti 40 sono rimaste “in mostra” al Consolato Generale d’Italia a New York fino a marzo 2022.
Il furto (è bene chiamarlo con il proprio nome) di opere d’arte è un fenomeno storico: non esiste periodo storico, infatti, durante il quale un dominatore non abbia approfittato del proprio potere per appropriarsi illecitamente di opere d’arte appartenenti ai paesi invasi. Lo fece Napoleone. Lo fecero i nazisti (e i loro alleati). Le opere rubate prima e durante l’ultima Guerra Mondiale furono milioni. Da molti paesi europei sparirono quadri, statue, libri, documenti preziosi (solo dalla Francia sarebbero stati portati via tra i 10 e i 15 milioni di libri!). Ogni cosa che avesse un qualche valore storico o artistico e che non era stata distrutta veniva, impacchettata e portata oltre confine. Per poi ricomparire, magari qualche decennio dopo, in una collezione d’arte di un miliardario o esposta in qualche museo. Dall’Italia i tedeschi portarono via qualsiasi cosa che potesse avere un qualche valore artistico e che era trasportabile (e che non fosse stata distrutta durante i bombardamenti). Tra queste un numero incalcolabile di capolavori di Leonardo, di Michelangelo, di Masaccio, di Botticelli, di Tiziano, di Raffaello e molti altri. Più di recente pare che anche alcune organizzazioni criminali italiane si siano interessate all’arte. Nel settembre del 2016, furono recuperate (e riportate in Olanda) alcune opere di Van Gogh rubate dal museo di Amsterdam nel 2002 e finite nelle mani di un boss della camorra. L’anno prima, nel 2015, era stato ritrovato, dopo 14 anni dal furto, un quadro di Pablo Picasso “sparito” da un magazzino del Centre Pompidou e contrabbandato negli USA. Venne ritrovato in una cassa marcata “Joyeux Noel” alla dogana di Newark, in New Jersey.
La cosa che sorprende di più è la facilità con cui opere di inestimabile valore (e che quindi dovrebbero essere adeguatamente sorvegliate) vengano rubate e trasportate oltre oceano. E come, spesso, anche dopo essere state ritrovate e indentificate, spesso sono necessari interventi “diplomatici” per riportarle nel paese d’origine. Esemplari molti casi che riguardano l’Italia. Esemplare il caso della Venere di Morgantina: scolpita nel V secolo a.C. e rubata durante uno nella seconda metà del Novecento, sarebbe stata venduta ad un museo di Londra. Nel 2001, il tribunale di Enna condannò il ricettatore ticinese Renzo Canavesi a due anni di reclusione e al pagamento di una penale di 40 miliardi di lire. Secondo le indagini, Canavesi avrebbe venduto la statua per 400.000 dollari alla società londinese di Robing Symes (che sorpresa: lo stesso nome, possibile che si tratti di omonimia? e se non è così non è stano che nessuno abbia provveduto a fermarli?), che l’avrebbe rivenduta in seguito al Paul Getty Museum per 10 milioni di dollari. Nacque una diatriba sull’origine della statua: alla fine le analisi dimostrarono (grazie ad una perizia petrografica effettuata sulla statua) che l’opera era realizzata con un tipo di calcare estratto da una cava vicino Ragusa. Questi dati, confermati dagli accertamenti effettuati il Paul Getty Museum, costrinsero il museo londinese a restituirla all’Italia. Ma solo nel 2011. Dopo dieci anni.
Forse uno dei motivi di tutto questo è che nei magazzini e nei depositi del Bel Paese esiste una quantità spaventosa di opere d’arte dal valore storico incalcolabile, ma poco utilizzate per la visione del pubblico. Opere stipate in scatoli e locali bui, dove si entra di rado e dove spesso anche la sorveglianza è meno attenta di quanto ci si aspetterebbe: anni fa, in una biblioteca a Palermo, furono ritrovati dei testi dal valore inestimabile stipati in un armadietto senza alcun controllo né dai ladri né da eventuali agenti atmosferici. Solo dopo il ritrovamento casuale da parte di un ricercatore che vedendo queste opere comprese il loro valore si decise di provvedere alla loro tutela (e a restaurarle). Lo stesso dicasi per i reperti trovati nella valle dello Jato: molti furono “trasportati” in Svizzera, si disse per essere “studiati” e “analizzati”.
Molte opere d’arte presenti in Italia spesso restano ignote alla maggior parte della gente. Anche gli studiosi della materia a volte non conoscono fino in fondo la quantità di opere d’arte di cui potrebbe disporre l’Italia. A questo si aggiunge che molti di questi capolavori, spesso, non sono neanche stati “scoperti”: si pensi ad alcuni capolavori ancora sepolti in molti apesi africani e mediorientali o anche in Italia e “non classificati”.
Per i trafficanti d’arte portare queste opere d’arte all’estero è più facile. Se ne parla solo dopo che vengono scoperte e, dopo trattative e indagini che possono durare molti anni, vengono finalmente restituite ai legittimi proprietari. Ma per una che viene ritrovata e restituita migliaia restano oltre frontiera. Esposte in musei poco attenti alla provenienza di questi capolavori. O parti di collezioni private esposte solo allo sguardo di qualche miliardario che le mette in bella vista senza capire il loro valore e senza conoscere la loro storia.