Le Nazioni Unite votano per una tregua umanitaria a Gaza. Ma l’Italia si astiene.
Nei giorni scorsi l’attività delle Nazioni Unite per consentire se non una tregua o la pace, almeno l’apertura di corridoi umanitari era stata bloccata dal veto posto dagli USA al Consiglio di Sicurezza (nonostante 12 voti favorevoli e due astenuti su 15). Poi è stata la volta delle polemiche (ingiustificate) sul discorso del Segretario Generale delle Nazioni Unite, Antonio Gueterres. Ieri, l’Assemblea Generale ha approvato a larga maggioranza una risoluzione presentata dalla Giordania per una “tregua umanitaria” della guerra. Una decisione non unanime. A votare contro oltre a Israele, anche gli USA, Austria, Nauru, le Isole Tonga, Croazia, Papua Nuova Guinea, Guatemala, Paraguay e pochi altri. Complessivamente sono stati 120 i voti a favore, 14 i voti contrari e 45 gli astenuti:
Proprio quest’ultima posizione desta sorpresa. Non tanto per il numero (la mozione è stata approvata a larghissima maggioranza), quanto per la decisione di non aver voluto accogliere la richiesta di una tregua umanitaria per fermare la strage di civili in atto nella Striscia di Gaza. Nemmeno per un momento. Eppure ’ultimo rapporto dell’UNWRA parla di oltre settemila persone uccise dal 7 ottobre al 27 ottobre solo tra i palestinesi. Tra loro 2.913 bambini, 1.709 donne e 397 anziani. Altre 18.484 persone sono rimaste ferite. Un numero, già di per sé impressionante, che potrebbe aumentare: sono 1.650 i dispersi, presumibilmente sotto le macerie di edifici distrutti. E tra loro 940 bambini. Di fronte a questi numeri, la decisione di 45 paesi di astenersi dal votare a favore di una tregua per consentire di fornire aiuti alle persone da due settimane sotto le bombe israeliane appare ingiustificabile.
Tra i paesi astenuti c’è anche l’Italia. Blande le motivazioni. Come l’assenza, nel documento, di una esplicita condanna alla strage del 7 ottobre commessa da Hamas. Ad affermarlo l’ambasciatore italiano Maurizio Massari nel suo intervento a conclusione della votazione: “Manca la condanna chiara degli attacchi di Hamas a Israele, e manca il riconoscimento del diritto a difendersi di ogni Stato sotto attacco”. Una posizione che non appare legata a motivi tecnici quanto piuttosto ad una posizione di parte: “L’Italia”, ha aggiunto Massari “è e sarà con fermezza solidale verso Israele: per noi la sicurezza di Israele non è negoziabile”.
Purtroppo i bombardamenti di Israele sui civili sono qualcosa di diverso dal “diritto di difendersi”. E l’uccisone di migliaia e migliaia di civili non può essere in alcun modo giustificata né condivisa. Specie dopo avere ascoltato le parole l’ambasciatore israeliano Gilad Erdan: “Israele non fermerà l’operazione finché le capacità terroristiche di Hamas non saranno distrutte e i nostri ostaggi non saranno restituiti”. “Perché difendete degli assassini, dei terroristi che decapitano bambini?”, ha aggiunto Erdan. Chiaro il riferimento alle dichiarazioni di Netanyahu che all’inizio dei bombardamenti si Gaza aveva mostrato le foto dei bambini israeliani massacrati da Hamas.
Ancora una volta, un’immagine deformata della realtà. In realtà, ad aver ucciso non uno né due ma migliaia di bambini sono state le bombe israeliane. Dall’inizio degli scontri sono decine le bombe che hanno distrutto le scuole dove l’UNWRA aveva raccolto i civili in fuga dalle proprie abitazioni. Bombardare le scuole è tra le azioni vietate dalla Dichiarazione sulle scuole sicure, sottoscritta da 118 Stati tra i quali anche l’Italia (a maggio 2015). Un accordo nel 2012 aveva portato alla stipula della Coalizione Globale per la Protezione dell’Istruzione dagli Attacchi (GCPEA). Tra i firmatari anche in questo caso grandi assenti come gli USA, molti paesi “sviluppati” e “difensori dei diritti umani” e ovviamente Israele.
Ma non basta. Né gli astenuti alla votazione delle NU né altri hanno detto una parola sui bambini uccisi da Israele nei territori occupati. Eppure un rapporto di Save The Children pubblicato a settembre 2023, quindi PRIMA dell’inizio dell’attacco di Hamas, indicava il 2023 come “un anno da record per i bambini palestinesi” uccisi dagli israeliani. Una situazione che va avanti da molti anni: già nel 2021, l’UNICEF aveva parlato di decine e decine di bambini vittime di questa guerra senza fine. E il bilancio era sempre negativo per i palestinesi: “Almeno 14 bambini nello Stato di Palestina e 1 bambino in Israele sarebbero stati uccisi da lunedì. Altri 95 bambini a Gaza e in Cisgiordania – compresa Gerusalemme Est – e 3 bambini in Israele sarebbero stati feriti negli ultimi cinque giorni”. L’Organizzazione delle Nazioni Unite aveva parlato di una “situazione a un pericoloso punto critico. Il livello di violenza e il suo impatto sui bambini è devastante. Siamo sull’orlo di una guerra su larga scala. In ogni guerra, i bambini – tutti i bambini – soffrono per primi e soffrono di più”.
Ma nessuno aveva levato scudi e proteste per questi bambini. Nessuno aveva risposto all’appello di UNICEF “di porre fine a tutte le violenze e di allentare le tensioni. Esorto tutte le parti a proteggere tutti i civili, specialmente i bambini, a risparmiare le infrastrutture civili essenziali dagli attacchi, e a porre fine alle violazioni contro i bambini”… e nessun paese occidentale aveva alzato la voce dicendo che queste violenze avrebbero dovuto richiedere un’azione da parte delle Nazioni Unite e dei paesi occidentali. Nessuno aveva sventolato le foto delle decine, centinaia di bambini palestinesi uccisi. Ora, invece, alcuni paesi hanno preferito astenersi e non votare a favore non della condanna di Israele ma semplicemente di una “tregua umanitaria” per aiutare i civili ed evitare una strage di bambini senza precedenti.
Una strage di fronte alla quale, molti governi hanno preferito voltare lo sguardo da un’altra parte. E astenersi dal votare per una tregua.