Distratti dalla guerra al virus del Covid-19 prima e dalle guerre in Ucraina e in Palestina più di recente, a nessuno pare interessare la guerra che ogni giorno combattono decine di migliaia di persone in Italia. Una guerra per la sopravvivenza che solo lo scorso anno ha causato 415 vittime in 215 Comuni. Sono i numeri impressionanti del rapporto pubblicato a gennaio 2024 dalla Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora. La Strage Invisibile – 415 morti nel 2023 (fiopsd.org) Per migliaia e migliaia di persone, per sopravvivere la prima necessità è trovare un posto dove passare la notte. Specie in inverno. Il periodo più drammatico per chi non può contare su un alloggio adeguato è quando fa freddo. Secondo Michele Ferraris della Federazione Italiana Organismi per le Persone Senza Dimora, “i piani attivati nelle maggiori città italiane per combattere il freddo spesso funzionano. Ma coprono solo tre mesi”. Per il resto dell’anno devono essere le associazioni di volontariato a cercare di salvare la vita di queste persone.
Una “strage di invisibili” come l’ha definita la FIO.PSD che non finisce mai. Anzi che sta peggiorando. Solo nella capitale, a Roma, nel 2023 si sono registrati 44 decessi di persone senza fissa dimora. Più di tre al giorno. E poi 22 a Milano, 9 a Bergamo e altrettanti a Torino. E così via in tutte le più importanti città italiane. Nessuna esclusa: Palermo, Napoli, Firenze, Rimini, Genova, Bologna e molte altre. Buona parte delle morti invisibili (il 40%) sono riconducibili a malesseri fisici o a episodi di ipotermia. Ma il 42% sarebbe dovuta a eventi traumatici o accidentali, come aggressioni, annegamenti, cadute, incendi, ma anche suicidi. I corpi di queste persone vengono ritrovati per strada (33% dei casi), lungo i corsi d’acqua e negli ospedali (l’11% delle volte).
“Oltre 400 morti in un anno sono un dato tremendo – ha dichiarato Cristina Avonto, presidente della FIO – il costante incremento annuale di questa triste cifra che riguarda esseri umani, deve portare a un cambiamento politico e culturale”. Un cambiamento culturale pare essere avvenuto solo nel modo di definire queste persone sui media. Termini come “barbone”, “senzatetto” e simili sono ormai fuori dal lessico comune forse perché considerati dispregiativi. Molti preferiscono chiamare questi uomini e queste donne (a volte anche questi bambini), “clochard”. Una parola che non dice nulla delle cause che hanno costretto queste persone a vivere per strada. La maggior parte di loro non ha scelto questa vita: sono stati costretti a farlo dopo aver perso tutto.
Negli ultimi dieci anni, il loro numero è quadruplicato. Secondo gli ultimi dati, sarebbe a Milano che se ne conta il maggior numero: circa 12mila. In generale il maggior numero si trovano nel nord Italia, 22mila 200 circa. Decisamente meno al Sud: “solo” – si fa per dire – 6mila 470. In Italia, secondo una rilevazione Istat, i clochard sarebbero 96mila, dei quali la metà di nazionalità italiana. Ma il problema non riguarda solo il Bel Paese. Nell’Unione Europea, le stime parlano di oltre 700mila persone che vivono per strada. Ancora una volta potrebbe trattarsi di un numero approssimato per difetto: molti clochard passano inosservati e non vengono registrati. Complessivamente, in Europa, ci si avvicina alla soglia del milione di individui.
Un fenomeno sociale di dimensioni importanti. Eppure, solo alla fine dello scorso anno, l’UE pare aver compreso la gravità della situazione. Per questo, il 13 settembre 2013, gli Stati membri e le organizzazioni della società civile sono stati invitati a firmare la dichiarazione di Aviles, che prevede un approccio integrato e il rispetto dei diritti umani anche per i senzatetto (come se non fossero scontati anche prima). Secondo molti questo è solo il primo passo per aiutare i senzatetto. Uno strumento essenziale per affrontare il fenomeno a livello europeo. Ma anche un invito rivolto alla Commissione europea affinché adotti un nuovo programma di lavoro per che garantisca non solo il funzionamento della piattaforma ma soprattutto i fondi per aiutare concretamente centinaia di migliaia di persone in tutta l’UE. Persone che spesso non devono fare i conti solo con la povertà, con la mancanza di un tetto o di un pasto: molto spesso sono alla mercé di bulli e bande che li picchiano senza alcun motivo, solo per provare una sadica soddisfazione.
Secondo la Avonto, “La casa è ciò che manca alle persone senza dimora, la base per una vita stabile e sicura dalla quale ripartire”. Forse. Ma la cosa che più manca a queste persone è l’attenzione da parte del resto del mondo: essere considerate non come “clochard”, ma come esseri umani che hanno bisogno di aiuto. E non diventare dei numeri dei quali i giornali e le autorità parlano solo quando si accorgono che in Italia ne sono morti centinaia in un anno.