Dopo un calvario durato più di 1900 giorni Julian Assange, fondatore di Wikileaks, è tornato in Australia. Ma non da uomo libero. O almeno non ancora. Resta ancora da formalizzare il patteggiamento del tribunale federale tra il procuratore e Assange che dovrebbe avvenire in una sperduta isola del Pacifico facente parte dell’arcipelago delle Marianne, territorio americano. La pena concordata corrisponde ai 1901 giorni di reclusione che Assange ha trascorso in custodia cautelare nel Regno Unito, in attesa che i giudici di Sua Maestà decidessero di estradarlo negli USA. Ma la vicenda Assange va avanti da molto più tempo. Da oltre un decennio. Caduti, pare, tutti gli altri capi d’accusa. A cominciare da quello più grave: spionaggio.
In realtà Assange non aveva fatto nulla di strano aveva solo consentito a chi forniva del materiale di provenienza certa di pubblicarlo sul sito. Anche quando si trattava di documenti “delicati”. La “clemenza” di Biden (ma alcuni l’hanno definita “convenienza”, specie considerando che siamo in piene elezioni e che il partito democratico pare in svantaggio sui repubblicani) non ha affatto risolto il problema principale. Assange era incriminato per aver violato l’Espionage Act, una legge varata nel 1917, in tempo di guerra, per tutelare la “sicurezza nazionale” e colpire qualsiasi forma di critica al governo federale. Quella che alcuni definiscono “minaccia per la democrazia”. Per farsene una ragione basti pensare agli argomenti che avevano portato all’incriminazione di Assange. Era accusato di aver avuto un ruolo cruciale nella diffusione illecita di centinaia di migliaia di documenti “top secret” principalmente made in USA. In particolare, Wikileaks, nel 2010 aveva pubblicato migliaia di file risalenti alle guerre in Iraq e Afghanistan. Documenti in cui non si parlava di segreti di stato, ma delle violazioni dei diritti umani e delle norme del diritto internazionale umanitario commesse da alcuni soggetti.
Ora Assange è tornato libero (a meno di sorprese dell’ultimo minuto). Ma sulla sua fedina penale rimane una macchia (spera nella grazia di Biden). Al contrario sugli autori di tutti i reati, le violazioni delle leggi nazionali ed internazionali denunciati da Wikileaks, non sarà fatto nulla. Nemmeno una denuncia. Eppure, nei documenti (ufficiali) pubblicati da Wikileaks c’era di tutto. Tutto cancellato. È vero Assange non finirà in galera ma rimarrà il rimorso di non essere riuscito a completare il suo progetto (oltre ad un conto spese spaventoso: solo l’aereo privato che lo ha riportato in Australia con scalo a Bangkok sarebbe costato mezzo milione di dollari).
Ad essere sconfitta è la libertà di stampa. E non solo quella di Wikileaks. Il Global Expression Report, il rapporto annuale degli avvocati di Article 19 ha rilevato che il 2023 è stato un anno record per numero di persone che affrontano una “crisi” nella libertà di parola e di informazione. Il Global Expression Report 2024 Il più alto di questo secolo. Con una impennata dal 34% nel 2022 al 53% nel 2023. “In nessun momento negli ultimi 20 anni a così tante persone sono stati negati i benefici delle società aperte, come la possibilità di esprimere opinioni, accedere a media liberi o partecipare a elezioni libere e aperte”, ha dichiarato il direttore esecutivo di Article 19 Quinn McKew. Nel 2023, la percentuale di persone che vivono in paesi in crisi sotto il profilo della libertà di espressione è salita al 53%. Oltre 4 miliardi di persone. Praticamente metà della popolazione mondiale. Tornano in mente le cose dette e quelle non dette sul conflitto in Ucraina. Su eventi famosi di politica internazionale. Per non parlare del massacro di civili palestinesi: donne e bambini uccisi dai bombardamenti israeliani dei quali i media hanno parlato ma sempre premettendo “però il 7 ottobre…”.
In tutto il mondo ai Giornalisti (quelli con la G maiuscola, non quelli al seguito di questo o quel partito o movimento) non è più permesso di svolgere la propria missione: dire quello che succede nel mondo. Gli autori del rapporto sono stati particolarmente allarmati dal deterioramento dell’India negli ultimi 10 anni sotto il governo del primo ministro Narendra Modi. In India la classificazione della libertà di parola è passata da “ristretta” a “critica”.
Particolarmente grave la situazione in quasi tutti i paesi mediorientali e in molti paesi ex sovietici. In Azerbaijan, dove nella seconda decade di novembre si svolgeranno i lavori della COP29, la conferenza sui cambiamenti climatici, non è permesso parlare di ambiente. Secondo Human rights watch, nell’ultimo anno si sono registrati almeno 25 casi di arresti o condanne di giornalisti e attivisti, molti dei quali ancora in carcere. L’ultimo ad essere stato arrestato è stato l’attivista Nijat Amiraslanov del movimento pro-democrazia Nida, che ha dichiarato di essere stato rapito, detenuto per due giorni e torturato con l’elettroshock. Tra le accuse aver aiutato qualche anno fa a fuggire dal paese un giornalista, secondo quanto riporta OC Media. Lo scorso anno l’Azerbaijan si è posizionato al 154esimo posto su 180 nel Corruption perceptions index stilato da Transparency International. Questo non è bastato a impedire di affidare la gestione dell’ambiente ad un paese il cui leader ha dichiarato che il petrolio “è un dono del cielo” e che per questo non ci rinunceranno.
In tutto il mondo, la libertà di stampa è tutt’altro che libera. Basti pensare che nell’ultimo rapporto di Reporters Sans Frontieres (pubblicato poche settimane fa, ma chi ha visto la notizia sui media?) l’Italia è in basso: solo 46esima (era 41esima l’anno precedente). Classement | RSF A farle compagnia paesi come la Polonia (47esima), l’Ungheria (67esima), l’Albania (quella dove mandiamo i richiedenti asilo: è al 99esimo posto). Ancora peggiore la posizione degli USA: 55esimi e con un passo indietro di 10 posizioni. E visto che se ne parla continuamente, 61esima l’Ucraina, addirittura 162esima la Russia (praticamente in fondo alla classifica), 157esima la Palestina e 101esimo Israele…
Ad Assange è stato concesso di uscire dal carcere sebbene con la fedina penale sporca, come un comune criminale. È tornato in patria da uomo (quasi) libero. Ma in tutto il mondo – specie dove si combattono guerre o “missioni di pace” – la libertà di stampa rimane incatenata e incarcerata. E la situazione peggiora anno dopo anno.