Che aria tira in Europa? Non tanto buona. Anzi. E non per le polemiche sulle nomine alla Commissione europea o su quanti miliardi serviranno per i prossimi anni (vedi rapporto Draghi). Ma letteralmente per l’aria che i cittadini dell’Unione resporano ogni giorno. Almeno stando a quanto emerge dai dati dell’EEA l’European Environment Agency. A fine agosto gli esperti europei dell’ambiente hanno pubblicato un aggiornamento della European City Air Quality, la classifica di 375 città europee nelle quali è stato eseguito il monitoraggio dei livelli medi di particolato fine (PM 2,5) negli ultimi due anni.
Il particolato fine è forse “l’inquinante ‘atmosferico con il più alto impatto sulla salute in termini di morte prematura e malattia” secondo l’EEA. Danni che si verificano dopo aver respirato a lungo aria contenente sostanze tossiche. Per questo il monitoraggio è stato fatto sui dati relativi alla “qualità dell’aria a lungo termine, poiché l’esposizione a lungo termine all’inquinamento atmosferico provoca gli effetti più gravi sulla salute”.
Un monitoraggio in realtà un po’ posticcio. Nel 2008, nell’ambito delle politiche volte a fornire aria pulita in Europa, l’Unione europea aveva fissato un valore limite annuo per il particolato fine di 25 μg/m3. Ma nel 2021 l’Organizzazione Mondiale della Sanità (OMS) aveva aggiornato le linee guida sulla salute per la qualità dell’aria e ha raccomandato un livello massimo di soli 5μg/m3 per il particolato fine per l’esposizione a lungo termine. Nessuno (noi sì) aveva detto una parola sulla differenza abissale tra questi valori soglia. Alla fine, mente si parla di modificare le misure inutili sull’immatricolazione delle auto esclusivamente elettriche, ci si era resi conto che la direttiva 2008/50/CE sulla qualità dell’aria doveva essere cambiata per allineare le norme dell’UE alle raccomandazioni dell’OMS.
Intanto, non sono mancate le sorprese sulle analisi della qualità dell’aria nelle città europee. Oltre 500 stazioni di monitoraggio hanno rilevato i livelli di microparticelle nell’aria. I ricercatori hanno confrontato questi dati con i valori soglia dell’Organizzazione Mondiale della Sanità. E il risultato è che soltanto 13 delle 375 città analizzate in Europa risultano essere entro questi limiti. E fra queste, nessuna in Italia.
Secondo l’EEA, negli ultimi tre decenni, “le politiche volte a ridurre l’inquinamento atmosferico hanno portato a un miglioramento della qualità dell’aria in Europa”. Ma nella maggior parte delle città “l’inquinamento atmosferico rappresenta ancora un rischio per la salute”.
Come si diceva, grave la situazione delle città europee e in particolare di quelle italiane. In Italia, la città con la migliore qualità dell’aria secondo il rapporto EEA è Sassari, al ventunesimo posto della classifica europea, seguita da Livorno al 65esimo posto. Poi il vuoto. Per trovare un’altra città italiana bisogna scendere fino al 148esimo posto dove compare Savona. Molte le città italiane nei posti peggiori della classifica dell’EEA. Piacenza, Venezia, Padova, Vincenza e Cremona occupano dal 366esimo al 370esimo posto della classifica. Poco meglio Treviso, Brescia, Bergamo e Torino (dal 359esimo al 362esimo posto). Milano è solo 354esima. Male anche le altre città del Bel Paese. In generale solo sei (oltre a Sassari e Livorno) hanno raggiunto una posizione sopra al duecentesima.
Tutte città in cui le emissioni di microparticolato sono ben al di sopra della soglia limite prevista dall’OMS e per la maggior parte dei casi anche di molto (per questo sono state classificate in rosso).
Assenti ingiustificate alcune città. Nell’elenco diffuso dall’EEA non sono presenti alcune città tra quelle incluse nello studio nell’ambito dell’Audit Urbano della Commissione Europea. Mancano perché non dispongono di stazioni di monitoraggio della qualità dell’aria per PM2.5 (indipendentemente dal loro tipo) o perchè manca un background urbano o suburbano delle stazioni di monitoraggio PM2.5 (pur disponendo di stazioni di monitoraggio del traffico) o perché i dati forniti dalle stazioni di monitoraggio non coprono almeno il 75per cento del territorio). Tra le città italiane per le quali mancano i dati Bari, Lecce, Avellino, Como, Varese, Cagliari e Taranto.
Risultati molto diversi rispetto alle città che occupano i primi posti di questa impietosa classifica dove, come al solito, si trovano molte città dei paesi nordici (soprattutto Svezia, prima e seconda, Finlandia e Islanda) e la sorprendente presenza di due città del Portogallo tra le prime dieci.
Cosa significa tutto questo? Dai dati dell’EEA emerge che “tre europei su quattro vivono in aree urbane e la maggior parte di loro è esposta a livelli pericolosi di inquinamento atmosferico”. Una condizione che sempre secondo l’Agenzia Europea Per l’Ambiente, avrebbe una conseguenza preoccupante: la morte prematura di almeno 238mila persone. Se a queste si aggiungono i 49mila morti a causa dell’eccessiva esposizione all’ozono e i 24mila a causa dell’inquinamento da biossido di azoto, si capisce che, forse, il tanto sbandierato New Green Deal di cui alcuni personaggi della Commissione Europea si sono vantati non ha funzionato tanto bene.
Forse, invece di pensare alle “poltrone” e a cose futili, sarebbe bene che si cominciasse a pensare a che aria tira in Europa. E ancora di più in Italia e nelle città.