Pochi giorni fa, dopo avere bombardato altre due scuole, dopo aver sparato su un’ambulanza, dopo bersagliato tende e rifugi dove avevano costretto a rifugiarsi le persone sfollate dalle proprie case con la forza, l’aviazione israeliana ha lanciato un pensante attacco aereo su un intero blocco residenziale nella città di Beit Lahia. L’ennesima strage di innocenti per la quale le forze armate e i leader israeliani non cercano più nemmeno di addurre scusa blande e poco credibili. Il numero dei morti è incalcolabile visto che molte delle vittime sono ancora sotto le macerie. Le prime stime parlano di un’ottantina di persone uccise e di alcune decine ferite. Tra le difficoltà incontrate dai soccorritori anche le difficoltà di accesso alla zona interdetta dalle forze armate di Israele da diverse settimane. L’esercito ha anche impedito anche le forniture di cibo, acqua, medicine e carburante ai civili accerchiati. Nella tarda serata di sabato, l’inviato di pace delle Nazioni Unite per il Medio Oriente ha espresso una dura condanna per i continui attacchi contro i civili condotti dagli israeliani: “Questo fa seguito a settimane di operazioni intensificate che hanno provocato decine di vittime civili e la quasi totale mancanza di aiuti umanitari che raggiungono le popolazioni del nord”, ha detto Tor Wennesland, coordinatore delle Nazioni Unite per il processo di pace in Medio Oriente.
La strage di ieri si inserisce in un piano di assedio totale del nord della Striscia, dove da settimane le forze israeliane hanno intrappolato centinaia di migliaia di persone, bloccando loro sin dall’1 ottobre ogni accesso a beni di prima necessità. Dal 6 ottobre, le città di Jabaliya, Beit Hanun, e Beit Lahia risultano completamente accerchiate e isolate da un lungo cordone di soldati e carri armati. L’esercito israeliano ha emesso vari ordini di evacuazione, ma dopo averlo fatto pare abbia attaccato gli stessi civili in fuga senza fornire loro il tempo di scappare. Anche ospedali e strutture mediche dell’area sono state colpite duramente o sono sotto assedio. Tra gli obiettivi dell’esercito anche i giornalisti. Un segno che, come in Libano con l’UNIFIL, Israele non vuole che si sappia cosa sta avvenendo. A confermarlo il fatto che dal 18 ottobre è stata interrotta anche la copertura internet della zona. Obiettivo rendere più difficile ai civili ma soprattutto ai giornalisti comunicare con l’esterno e far conoscere quanto accade in questa zona della Palestina. Anche se molti media sembrano aver deciso di non parlare più di ciò che sta avvenendo nella Striscia di Gaza, i dati forniti dal ministero della Sanità di Gaza afferma che, in questa zona, nelle ultime settimane ovvero da quando la campagna israeliana si è intensificata, sono state uccise oltre 500 persone. E nessuno sembra potere (o volere) fare niente per fermare quello che appare sempre di più un vero e proprio genocidio contornato da innumerevoli crimini di guerra e violazioni dei diritti umani.