Alcuni media (specie quelli occidentali) preferiscono non parlarne, ma nella Striscia di Gaza si continua a combattere. E a morire. A confermarlo sono i dati dell’UNRWA: il Report 151 parla di almeno 1,9 milioni di persone, circa il 90% della popolazione, costretta a lasciare la propria casa nella Striscia di Gaza. Uomini, donne e soprattutto bambini cacciati ripetutamente dagli alloggi di fortuna dove si erano rifugiati. “Alcuni 10 volte o più”, dice l’UNRWA. Tra il 7 ottobre 2023 e il 10 dicembre 2024, secondo quanto dichiarato dall’OCHA, sono almeno 44.786 i palestinesi uccisi a Gaza. E 106.188 quelli feriti. Ma, come ormai è dimostrato, il numero reale dei morti è molto maggiore. Di queste persone OCHA afferma che, al 20 ottobre, almeno 13.319 sono bambini uccisi dagli attacchi israeliani. E tra loro almeno 786 avevano meno di un anno di età (“rappresentano circa il 6% dei bambini uccisi i cui dettagli di identificazione completi sono stati documentati”). Ma non basta. Anche per chi è sopravvissuto il futuro è tutt’altro che sicuro: al 7 ottobre 2024, il Ministero della Salute ha comunicato che almeno 35mila bambini hanno perso uno o entrambi i genitori.
Il prezzo che gli operatori umanitari dell’UNRWA hanno dovuto pagare è stato altissimo: dal 7 ottobre 2023 all’8 dicembre 2024, i membri dell’UNRWA uccisi sono stati 254. Ma anche se a rischio della vita, questi operatori umanitari non hanno smesso di aiutare i più deboli. Anche quando su di loro son state riversate tonnellate di insulti accusandoli di essere terroristi. Secondo OCHA, nella prima settimana di dicembre sono sono stati autorizzati a entrare nella Striscia di Gaza 76 camion carichi di aiuti umanitari. Un numero enormemente “al di sotto della media prebellica [prima del 7 ottobre 2023] di 500 camion per giorno lavorativo”. OCHA ha riferito che, dei 197 movimenti umanitari coordinati con le autorità israeliane a Gaza, dall’1 al 9 dicembre 2024, a 84 è stato negato l’accesso, 32 sono stati fermati e 21 sono stati cancellati a causa di problemi logistici e di sicurezza”. Situazione analoga ai checkpoint di Al Rashid o Salah Ad Din, controllati dall’esercito israeliano: tra l’1 e il 9 dicembre, dei 56 “movimenti di aiuto” che hanno cercato di attraversarli per raggiungere le aree a nord di Wadi Gaza, 26 sono stati bloccati, 13 sono stati rallentati e otto annullati. Solo 9 sono riusciti a passare. Interrotte le missioni di aiuto nel governatorato di Gaza Nord, in particolare quelle che cercavano di raggiungere Jabalia, Beit Lahiya e Beit Hanoun. Tra l’1 e il 9 dicembre 2024, l’ONU ha tentato raggiungere le aree assediate nel nord di Gaza 17 volte: ma per ben 16 volte l’accesso è stato completamente negato (una è stata “impedita”).
Nella Striscia di Gaza continua quello che molti hanno definito “genocidio”. La proposta di alcuni governi occidentali di non riconoscere il mandato di arresto per il premier israeliano appare sempre più ridicola: significherebbe non riconoscere il mandato di arresto emesso nei confronti di Putin (eppure quando venne comunicato nono si ebbe la levata di scudi cui si sta assistendo oggi) o quello emesso nei confronti di altri leader.
“Ritengo sia una sentenza sbagliata, che ha messo sullo stesso piano il Presidente israeliano e il Ministro della Difesa israeliano, con il capo degli attentatori, quello che ha organizzato e guidato l’attentato vergognoso che ha massacrato donne, uomini, bambine e rapito persone a Israele, che è quello da cui è partita la guerra. Sono due cose completamente diverse”, ha dichiarato il Ministro della Difesa Guido Crosetto, che continua: “Da una parte c’è un atto terroristico fatto da un’organizzazione terroristica che colpisce nel profondo cittadini inermi, dall’altra c’è un paese che a seguito di quest’atto va e cerca di estirpare un’organizzazione criminale terroristica”. Uccidere oltre 40mila civili dei quali oltre 13mila bambini (quasi mille con meno di un anno) non potrà mai essere considerato un modo per combattere il terrorismo. Anche i trattati internazionali lo confermano. Quelli che molti leader hanno firmato e poi hanno dimenticato. Quelli che anche Israele ha sottoscritto (in realtà, non tutti). Lo stesso Crosetto ha dovuto riconoscere che “se vogliamo giudicare come Israele si è mosso a Gaza, quanto della forza usata fosse necessaria da usare, quanto dei danni collaterali, che fa senso chiamare in questo modo con delle vittime innocenti, quante migliaia ci sono state e quante linee rosse siano superate, è un altro discorso”.
Davvero è possibile definire quello che sta facendo Israele “danni collaterali”? I numeri dicono di no. La reazione non è in alcun modo commisurata all’azione subita, all’attacco terroristico del 7 ottobre 2023. Continuare a giustificare il comportamento di Israele fino a suggerire di non rispettare il mandato di arresto internazionale emesso dalla CPI creerebbe un precedente molto pericoloso. Significherebbe non riconoscere i mandati di arresto emessi dalla stessa Corte Penale Internazionale nei confronti di molti leader di Stato (non solo nei confronti di Putin). Significherebbe, in altri termini, non riconoscere il ruolo della stessa Corte Penale Internazionale e delle regole che l’Italia (come altri 120 paesi) ha approvato. “Essere membro della CPI implica l’accettazione della sua giurisdizione: questa si declina in maniera peculiare rispetto ad un classico tribunale di giustizia”, si legge sul sito della CPI (Corte Penale Internazionale). Lo svolgimento di un processo di fronte i giudici della CPI si suddivide in diverse fasi. In primo luogo, l’Ufficio del Procuratore deve determinare se vi siano prove sufficienti di crimini di gravità tale da rientrare nella giurisdizione della CPI, se siano in corso procedimenti nazionali autentici, e se l’apertura di un’indagine sia nell’interesse della giustizia internazionale e delle vittime. Se tali condizioni non sono soddisfatte o se la giurisdizione della Corte non può essere azionata, l’Ufficio del Procuratore non può investigare. Al contrario, se le prove raccolte sono sufficienti e idonee ad identificare un sospettato e la giurisdizione della Corte può essere attivata, l’Ufficio del Procuratore può richiedere che i giudici emanino un mandato di arresto internazionale. Ma per la sua applicazione è necessaria la collaborazione degli Stati membri.
Non procedere all’arresto di una persona accusata di genocidio – come vorrebbero fare alcuni capi di Stato e leader politici -, significherebbe non riconoscere il potere della CPI. E giustificare un paese che continua a bombardare incurante degli “effetti collaterali”, utilizzando come scusa la strage terroristica del 7 ottobre 2023. Significherebbe fingere di non vedere cosa sta accadendo nella Striscia di Gaza. Anche se i media non ne parlano più.