
[fonte foto: today.it]
Ormai i giornali non parlano d’altro: le misure introdotte da Trump per favorire i prodotti made in USA e, dall’altro lato, le risposte (o presunte tali) dei paesi esteri. In questo marasma di notizie vere e bufale forse è bene fare un po’ di chiarezza e cercare di capire cosa c’è dietro le scelte (che alcuni hanno già definito suicide) del tycoon della Casa Bianca. Misure presentate con slogan altisonanti – Liberation Day – che sembrano il titolo di un film di fantascienza.
Non c’è da sorprendersi: buona parte della politica di oggi è spettacolo. Soprattutto nei USA. Si pensi agli spettacoli durante le elezioni (inutili per i democratici) o allo spot internazionale organizzato nel giardino della Casa Bianca per la vendita delle auto di Musk. Nei giorni scorsi, nel giardino delle rose della Casa Bianca è andata in onda un altro spettacolo: Trump ha parlato di dazi “necessari” per compensare le penalizzazioni che le merci statunitensi subirebbero all’estero. Ha detto che in quella sede era stato troppo difficile spiegare come sono stati calcolati, paese per paese. La verità è che i dazi introdotti dagli USA non sono affatto “reciproci” né sono basati su calcoli complessi. Sono stati stabiliti applicando una formula estremamente semplice (e criticata da molti economisti): in pratica, sono stati calcolati dividendo il deficit commerciale verso un paese (cioè la differenza – negativa – tra importazioni statunitensi e le loro esportazioni) per il totale delle importazioni da quel paese. I dazi imposti dagli Stati Uniti d’America è il valore ottenuto da questo calcolo diviso per due (quello che Trump ha definito una “gentilezza”). A confermare che il metodo di calcolo è questo è il sito ufficiale del Governo USA. Trump ha detto di non poter spiegare il metodo di calcolo adoperato perché “troppo complesso” e ha preferito parlando di “Liberation Day”. Un modo da venditore di basso livello per distrarre l’attenzione dei media e delle persone.
Questo non è bastato a distrarre i governi più attenti. Il Canada è stato il primo a rispondere. Lo ha fatto imponendo contro-dazi e presentando una mozione all’Organizzazione Mondiale del Commercio (WTO). Una scelta non isolata: altri paesi hanno deciso di ricorrere al WTO per contestare queste misure. Tra questi la Cina che che ha già varato contromisure nei confronti degli USA: 34% su tutte le merci che arrivano dagli USA. “Pechino è sempre stato uno strenuo difensore dell’ordine economico e commerciale internazionale e un sostenitore del sistema commerciale multilaterale. L’imposizione da parte degli Stati Uniti dei cosiddetti dazi reciproci viola gravemente le regole del WTO, è un atto di bullismo unilaterale”, si legge in una dichiarazione del governo cinese. La Cina ha dichiarato inoltre di aver fatto appello al WTO contro i dazi aggiuntivi imposti dagli USA. Lo stesso ha fatto, il ministro degli esteri brasiliano ha dichiarato che sta valutando di rivolgersi al WTO per contrastare i dazi imposti dagli USA, secondo partner commerciale per il Brasile.
Una decisione saggia. Il sistema di risoluzione delle controversie del WTO dovrebbe essere lo strumento principale per affrontare eventuali violazioni dell’ordine commerciale globale. In caso di controversie sui dazi, come quelli imposti dagli Stati Uniti, è possibile richiedere l’esame della questione da parte di un panel di esperti. Al termine dell’analisi se i dazi sono ritenuti illegittimi, il paese in questione dovrebbe adeguarsi e rimuovere le misure introdotte. Il punto è che, come per le decisioni delle Nazioni Unite (si pensi all’accoglienza riservata ai politici – Nethanyau ma anche Putin – per cui la Corte Penale Internazionale aveva emesso un mandato di cattura internazionale), sono molte le organizzazioni internazionali che nell’ultimo periodo sembrano aver perso ogni potere.

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Tra queste l’Unione Europea. La presidente della Commissione Europea, così ostinata e caparbia nella decisione di far spendere ai paesi membri dell’UE centinaia e centinaia di miliardi in armi e armamenti per una guerra che non si combatterà mai (certo non nei prossimi decenni), non è stata capace di rispondere tempestivamente ai dazi imposti da Trump. In compenso, anche le autorità di Bruxelles hanno introdotto un nome altisonante per definire la risposta (che non c’è): l’Unione Europea si starebbe preparando a rispondere con il “bazooka”. È questo il termine con cui è stato definito lo strumento anti-coercizione o ACI (Anti-Coercion Instrument) che dovrebbe (il condizionale è d’obbligo visto che non esiste ancora niente di definitivo) contenere misure di deterrenza nei confronti di “paesi terzi” che possano minacciare le scelte politiche degli Stati dell’Unione. In realtà, vista la marea di accordi di libero scambio sottoscritti finora, l’unico “paese terzo” sarebbero gli USA di Trump. Ma ancora una volta nei suoi confronti i leader europei si sono mostrati remissivi. A poco o a niente sono serviti i viaggi negli USA di Macron e della Meloni per incontrare Trump non appena annunciate queste misure. Misure che molto probabilmente non serviranno a risolvere i problemi mondiali. In Israele, la situazione continua a peggiorare. E l’intervento degli USA non sembra essere servito a molto: recentemente alcuni giornali hanno denunciato che Facebook avrebbe consentito la pubblicazione di annunci pubblicitari da parte di agenzie immobiliari israeliane che promuovono la vendita di abitazioni in villaggi e località della Cisgiordania occupata, insediamenti israeliani considerati illegali secondo il diritto internazionale (alcuni annunci chiedevano anche la demolizione di edifici palestinesi, comprese scuole, mentre altri sollecitavano donazioni a favore dei soldati israeliani impegnati nelle operazioni militari nella Striscia di Gaza). Anche in Ucraina pare che l’intervento sbandierato dal tycoon della Casa Bianca non abbia portato alla pace. Quanto ai problemi interni degli USA, questi aumentano giorno dopo giorno. Ma Trump sembra essere troppo impegnato per occuparsene. Nei giorni scorsi, forti piogge e inondazioni hanno colpito alcuni Stati meridionali e del Midwest degli Stati Uniti d’America causando decine di morti, centinaia di feriti e grossi danni materiali. In Arkansas, in Tennessee e in Kentucky. In alcuni casi le esondazioni dei fiumi hanno sommerso strade e abitazioni: nel Kentucky centro-settentrionale, le autorità hanno addirittura ordinato l’evacuazione di Falmouth e Butler, due centri siti vicino al fiume. Di questo Trump – e la marea di giornalisti corsi nel giardino delle rose della Casa Bianca per il lancio del Liberation Day – non ha parlato.
Così come non è stato detto nulla del rapporto pubblicato il 7 aprile scorso dall’UNICEF in occasione della Giornata Mondiale della Salute: ogni anno, nel mondo quasi 300mila donne perdono la vita a causa della gravidanza o del parto, oltre due milioni di bambini muoiono nl primo mese di vita e atri due milioni nascono morti. Una morte ogni 7 secondi che sarebbe possibile evitare. Ma di tutto questo non parla nessuno.