Nel corso dei millenni, la storia dell’uomo e l’evoluzione dei gusti alimentari ha generato lo sviluppo di precisi pilastri della nostra cultura e della nostra società. Il cibo è cultura, nella sostanza. Anche gli aspetti più ininfluenti della nostra espressione culturale sono legati al cibo, dalle superstizioni alle modalità di partecipazione a banchetti e cene importanti.
Il legame fra cibo e cultura è qualcosa di universale. Il cibo può essere considerato un elemento culturale perchè l’uomo pur essendo onnivoro non si nutre degli stessi cibi in tutte le culture. La predilezione verso alcuni cibi e il rifiuto di altri, pur essendo questi commestibili, ha un’origine culturale, antropologica e legata ai costumi e all’evoluzione di una determinata società. Ogni cultura ha un codice di condotta alimentare che valorizza determinati alimenti e ne rende indesiderabili altri.
Aspetti simbolici che sono determinati dalle componenti geografiche, ambientali, economiche, storiche e nutrizionali che caratterizzano l’intreccio storico alla base della cultura stessa. Se si evita di considerare i casi in cui è la sussistenza o povertà alimentare a dettare ciò che si deve mangiare, il cibo cessa di essere un bisogno fisiologico e diventa una necessità culturale.
Ripartire dal food vuol dire rimettere l’elemento culturale al centro di un percorso sociale che oggi risulta, più che mai, essenziale per una ripresa post-coronavirus. “La cultura è l’unico vero grande asset del nostro Paese. La politica sarebbe dovuta intervenire in maniera massiva, potenziando queste attività. Non è stato così, è mancata una risposta che gratificasse almeno dal profilo estetico e intellettuale i cittadini italiani“, ha recentemente affermato il professor Emmanuele Emanuele, presidente della Fondazione Terzo Pilastro Internazionale e presidente onorario della Fondazione Roma, in un’intervista al magazine InsideArt, nella quale ricorda l’importanza dei fenomeni culturali e dell’utilizzo delle tecnologie, anche in ambito culturale.
Se il cibo favorisce il contatto tra culture, anche il cibo è oggetto di mutamenti, non rimane elemento fossile ma subisce cambiamenti correlati ai tempi e ai modi dell’incontro. La contaminazione avviene in ambedue le direzioni, verso entrambe le culture che si avvicinano l’una all’altra. L’elemento culturale è così intenso, quando pensiamo al cibo, che la stessa alimentazione e le pratiche alimentari sono frutto di secoli di costumi sociali, consuetudini e elementi simbolici, ovvero, tratti culturali tipici della storia delle relazioni tra uomini.
Il cibo ricopre indubbiamente un importante ruolo identitario sia dal punto di vista dell’individuo sia da parte del gruppo etnico. È l’emanazione della cultura di un determinato popolo così come lo sono l’arte, la letteratura, la lingua, le norme, la religione e gli aspetti legati al costume. È oggetto e soggetto dei mutamenti culturali e delle pratiche relazionali tra gli individui e in continuo evolversi sociale. Il cibo può contribuire a favorire l’integrazione culturale e relazionale fra le persone dentro la comunità e fra questa ed il mondo esterno.
I sapori e le preparazioni agroalimentari locali, la cucina tipica dei territori, appartengono al “patrimonio culturale immateriale”. Tali elementi sono visibili nel Mediterraneo e nella stessa idea di Dieta Mediterranea, considerata patrimonio mondiale dell’Unesco. Elementi che possiamo ritrovare in alcuni progetti che pongono il cibo come paradigma di sviluppo sociale ed economico e tra questi il progetto curato da Gi.&Me. Association riguardante i grani autoctoni del Mediterraneo, denominato IngraMed. Un progetto legato all’idea di comunità e valorizzazione del territorio con al centro l’idea comune del “grano” sia come ingrediente dei meccanismi sociali del lavoro che dei meccanismi culturali. Il grano quale commodity, ieri come oggi, è al centro di importanti decisioni geopolitiche mondiali, che interessano i maggiori consumatori al mondo.
Le comunità locali del nostro Mediterraneo lavorano sempre più per promuovere una nuova gastronomia, fondata sulla tutela della biodiversità, la protezione dell’ambiente e il rispetto delle culture e delle tradizioni locali dei luoghi, come sta avvenendo con la riscoperti dei grani autoctoni. Il food di qualità diventerà sempre un mezzo per il raggiungimento di uno stato di benessere individuale e collettivo, un’arma per lo sviluppo culturale di comunità, regioni e popolazioni. Le stesse comunità possono tutelare le specie e varietà autoctone per il mantenimento della biodiversità e per una agricoltura sostenibile, ma anche migliorarne la qualità, combattere le frodi e dare forza alle politiche di etichettatura.
Questo patrimonio, tramandato di generazione in generazione, è costantemente ricreato dalla comunità in funzione del suo ambiente, della sua interazione con la natura, ovvero, aspetti antropologici oggetto di evoluzioni continue. Dall’idea di tutelare tale patrimonio agroalimentare nasce un altro legame importante: quello tra food e innovazione tecnologica.
Negli ultimi anni, il settore agroalimentare è costantemente chiamato a pensare a se stesso in rapporto al tema dell’innovazione, su sollecitazione dei consumatori che sono sempre più attenti a ciò che mangiano, privilegiando cibi sani e bio, tracciati e autentici, salvaguardando la tradizione, ma attenti non solo alla propria salute ma anche a quella dell’ambiente e guardando criticamente i sistemi di produzione di massa imposti dalle grande logiche commerciali.
Elementi che dovrebbero essere oggetto di analisi e che ha ben evidenziato anche il professore Emmanuele Emanuele nel ribadire: “A questo proposito, sono convinto che la tecnologia digitale sia sempre più un’esigenza. Io ricordo di essere nato nell’epoca in cui intingevo la penna nel calamaio, e oggi sono tra coloro i quali leggono i giornali sul tablet“.
D’altronde, ritornando al progetto descritto, l’intento di IngraMed è quello sviluppare capacità tecnologiche e di network tra i vari protagonisti della coltivazione, produzione e lavorazione dei grani autoctoni, supportando metodi analitici di monitoraggio e protezione, attraverso piattaforme di tracciabilità con l’utilizzo della blockchain. Il progetto vuole contribuire alla creazione di un sistema mediterraneo di autenticità e tracciabilità mediante una comune visione di metodi analitici e lo studio dei dati relativi alle qualità tecnologiche e nutrizionali dei grani autoctoni del nostro bacino comune e costruendo una catena mediterranea di valore per i grani autoctoni.
Un percorso che possiamo definire esperienziale, così come la vera rivoluzione culturale del cibo è legata all’utilizzo di tecnologie innovative, associazioni simboliche che permettono di rendere sempre più ampi gli spazi di interazione tra i consumatori e l’intera filiera. Il cibo come autentico momento culturale e l’innovazione come elemento di salvaguardia alimentare e quindi di tutela del patrimonio culturale.