Nel secolo XVIII diventa di moda viaggiare per l’Europa: intellettuali, aristocratici, letterati compiono grandi viaggi per incrementare le loro conoscenze culturali ed artistiche. È questo il fenomeno che viene chiamato Grand-Tour, che vede gli italiani muoversi verso altre Nazioni e viceversa. Questo viaggiare richiede al mercato degli artisti e degli incisori una grande produzione di souvenir. È chiaro che nel ‘700 non ci sono cartoline e fotografie dei bei luoghi visitati e quindi bisogna ingegnarsi e creare delle riproduzioni fedelissime dei luoghi che i turisti hanno tanto faticato a raggiungere. L’unica possibilità sono proprio i quadri di varie dimensioni che riproducano la poesia dei luoghi magici che l’Italia regala agli occhi: Napoli, Roma, Firenze, Venezia.
È per questo che molti pittori si specializzano nelle vedute. Aiutati dall’uso della camera ottica,un’antenata della macchina fotografica, artisti come Canaletto e Bernardo Bellotto, suo nipote e allievo, prendono appunti e schizzi per poi realizzare delle vedute di fenomenale realismo. Il genere pittorico del vedutismo è stato oggetto negli ultimi decenni di molteplici studi, legati anche ad iniziative espositive, che hanno sottolineato il crescente favore del pubblico per quello che concordemente viene considerato il fenomeno più innovativo e caratterizzante nell’arte europea del XVIII secolo. Venezia, dunque, per la peculiarità delle caratteristiche ambientali e architettoniche e per la presenza di alcuni maestri tra i più dotati, diviene quindi il luogo ideale per la sperimentazione di un nuovo modo di ritrarre la città, fissandola in una dimensione senza tempo, nonostante artisti come Bellotto, poi, ritrarranno poi i più begli scorci d’Europa.
Bernardo Bellotto nasce a Venezia nella parrocchia di Santa Margherita, il 20 maggio 1722. Figlio di Lorenzo Antonio Bellotto e Fiorenza Canal, sorella del celebre Canaletto, si forma presso la rinomata bottega di quest’ultimo. Nel 1738 è già iscritto alla Fraglia dei Pittori veneziani, mentre nel novembre del 1741 convoglia a nozze con Elisabetta Pizzorno.
Entrato giovanissimo come apprendista nell’atelier dello zio, Bellotto si trova in una condizione di assoluto privilegio, essendosi risparmiato un faticoso iter formativo, per affrontare direttamente gli specifici problemi del vedutismo. Questo vantaggio consente all’allievo, prodigiosamente dotato, di bruciare le tappe di una carriera folgorante, portandolo ad operare a Roma, dove il suo talento esplode nei disegni e nei dipinti delle più belle vedute della Città Eterna e in cui lui, col consenso dello zio, si firma spesso “Canaletto”.
Nel 1744 è documentato in Lombardia, al servizio del conte Antonio Simonetta e nel 1745 a Torino, dove esegue alcune vedute per Carlo Emanuele III. E poi Dresda, Vienna, Monaco, Varsavia. Tuttavia, i rapporti tra lo zio ed il nipote, alquanto lunatico, sono difficili, sebbene non ci siano documenti che attestino un vero e proprio litigio. Forse non c’è nemmeno stato un vero e proprio episodio di rottura, ma più verosimilmente questa avviene in maniera progressiva, come contrasto tra lo zio, in cui forse si incomincia ad insinuare una certa invidia, e il nipote, consapevole delle proprie capacità fino alla presunzione, privo oltretutto di modestia, che magari inizia a manifestare, come spesso succede, una certa insofferenza per il condizionamento da parte dello zio o una voglia di emergere come individuo.
Dopo un soggiorno a Londra, Bernardo viene invitato a Dresda. La chiamata di Augusto III, principe elettore di Sassonia e re di Polonia, ad assumere la carica di “Peintre du Roi”, arriva probabilmente grazie ai buoni uffici dell’abate veronese Pietro Guarienti, da poco nominato ispettore della Galleria reale.
L’incarico affidato a Bernardo a Dresda è quello di illustrare con le sue vedute la città che Augusto II il Forte e il figlio hanno da poco rinnovato dal punto di vista architettonico e urbanistico in modo radicale, elevandola al ruolo di “splendida capitale europea”.
Bellotto diviene il cantore geniale in una stupenda serie di vedute di Dresda. La realtà fenomenica diventa forma urbis ideale e, come la Venezia di Canaletto, (tramite le acqueforti di Antonio Visentini), anche la “Venezia del Nord” di Bellotto diventa il mito, la cui divulgazione a livello internazionale viene affidata alle splendide traduzioni incisorie delle vedute.
Grazie ai favori di Augusto III e del suo fedele primo ministro, lo stipendio di Bellotto è molto generoso e gli permette di vivere in modo molto sereno per un lungo decennio dal 1747 al 1756. Le vedute di Dresda e di Pirna che Bellotto esegue durante il suo soggiorno in Sassonia dal 1747 al 1756 denotano forse il punto più alto toccato da quella ricerca di assoluta obiettività e perfezione che è uno dei poli antitetici della figurativa del Settecento. La suggestione che queste vedute suscitano nello spettatore ha qualcosa di magico e il loro potere evocativo sembra illimitato.
La veduta della piazza del mercato di Pirna è tra le composizioni più belle di Bellotto e, per effetto di una meritata fama, ne esiste una serie di copie di altri pittori. Bellotto deve aver osservato e afferrato quello splendore di architetture medievali che si intrecciano con quelle moderne di questa cittadina di una bellezza pura, tale da attirare gli spettatori di ogni parte del mondo. È infatti un luogo che è un piacere di effetti figurativi.
Al contrario, durante il “soggiorno viennese del 1759-1760 si ha l’impressione che il Bellotto abbia un po’ sforzato la vena descrittiva, cioè l’esteriorità della sua ispirazione, raggiungendo effetti d’una bravura eccezionale, ma forse meno ricchi di poesia di quelli ottenuti negli anni precedenti in Sassonia. “La veduta si viene trasformando sempre più in documento, in narrazione di avvenimenti occasionali in determinati luoghi. L’interesse realistico che già puntualizzava il macchiettismo del Bellotto si inserisce in una nuova esigenza descrittiva, che assumerà nuovo equilibrio nell’ultimo periodo polacco” (Pallucchini 1995). Però, lo scoppio della Guerra dei Sette Anni (1756-1763) pone fine a questa situazione favorevole. Bellotto, quindi, lascia Dresda per trasferirsi a Vienna e rimanere per due anni (1759-1760) al servizio dell’Imperatrice Maria Teresa, cercando comunque di soddisfare le richieste di importanti committenti quali il Cancelliere Kaunitz ed il Principe di Lichtenstein. Nonostante si ignori molto del suo soggiorno viennese, si sa che l’imperatrice lo stima ed è confermato dalle commissioni di famose vedute.
Nelle opere del periodo viennese l’artista talvolta allude alla presenza fisica del committente all’interno della composizione. La veduta del Palazzo Lobkowitz si distingue per un gruppo «animato» in primo piano a destra che si contrappone al vero protagonista del dipinto: l’edificio patrizio situato sulla sinistra. In quel caso l’attenzione è diretta al gruppo di persone, la cui direzione delle ombre è opposta all’impostazione generale della luce. Questa tendenza a dare importanza alle persone, che non sono più macchiette ma diventano vere e proprie figure umane e che prende piede negli anni di Dresda, raggiunge il suo apice proprio durante il soggiorno viennese. Solo di questo periodo infatti sono documentati disegni di studi di figure, a testimoniare un definitivo cambiamento di impostazione, chiaramente dovuto a precise richieste della committenza.
Nel 1761 quindi, attratto dalla liberalità di Massimiliano III, Bellotto si trasferisce brevemente a Monaco, per poi far ritorno nel 1762 a Dresda. Qui l’attendono amare sorprese. Dopo che, alla fine del 1763, a breve distanza l’uno dall’altro muoiono sia Augusto III che il suo primo ministro plenipotenziario, il conte Heinrich Brühl, nel 1764 Bellotto non ottiene altro che un posto di insegnante ai corsi preparatori di prospettiva nelle classi inferiori di paesaggistica e architettura presso l’Accademia di Belle Arti. Alla fine del 1766 chiede un periodo di congedo per recarsi a San Pietroburgo, ma strada facendo si ferma alla corte polacca di Stanislao Augusto Poniatowski, dove nel 1768 diviene pittore di corte e della città Varsavia, dove ormai vive.
Qui trascorre gli ultimi quattordici anni della sua vita, assicurando alla propria famiglia una buona posizione economica e riacquistando, inoltre, quel peso professionale che aveva perso a Dresda. È probabile che la decisione di rimanere a Varsavia è da attribuirsi alla posizione di riguardo che gli artisti italiani hanno nella corte polacca. Il sovrano polacco organizza ogni settimana dei pranzi ai quali invita molti artisti, in maggioranza italiani, da cui il nome di «pranzi italiani». Bernardo Bellotto muore a Varsavia il 17 novembre 1780. Il giorno successivo è sepolto nella chiesa dei Cappuccini in via Miodova.
Bellotto ritrae le capitali europee in opere di raro incantesimo, dove l’equilibrio tra le atmosfere immobili e la resa meticolosa degli edifici e degli elementi paesaggistici si traduce in una pittura capace di conciliare la precisione scrupolosa con l’aspetto poetico degli scorci. L’artista immerge le vedute in una luce cristallina, tendenzialmente algida, che rende uniforme la nitidezza dei volumi architettonici quale che sia la distanza dall’occhio dell’osservatore. L’ordine, l’equilibrio rarefatto, la perfezione degli spazi urbani non devono essere disturbati da nulla.
I tratti principali della pittura bellottiana sono da un lato la fusione tra la realtà e la poesia del momento e l’autentico interesse per gli uomini che vi abitano e le loro occupazioni e abitudini; dall’altro è la ricerca della bellezza assoluta nella concezione pittorica, alla quale contribuiscono notevolmente il panorama ampio della veduta e l’armonia dei colori. E infine è l’atmosfera cristallina, che racchiude tutte le forme chiaramente delineate dai colori sia con le tonalità prevalentemente fredde che i forti contrasti di luce e ombra; tutto questo crea quella atmosfera tranquilla e lirica che lo rende a mio avviso, il più grande vedutista d’Europa.