Spesso si sente parlare di green economy, di economia verde, con un chiaro riferimento alla sua sostenibilità (anche quando si scopre che nelle scelte dei governi di “verde” c’è molto poco). Ma esiste anche una blu economy, una economia blu che riguarda i mari e le acque dolci.
Se ne è parlato nel corso di un convegno dal titolo “Futuro della Pesca tra sostenibilità e filiera”. L’incontro, organizzato dal think tank Imprese del Sud in collaborazione con UNCI Agroalimentare, e moderato dal giornalista Domenico Letizia, ha visto alternarsi biologi, docenti universitari e rappresentati del settore della pesca e dell’acquacoltura tra i quali Gennaro Scognamiglio, presidente nazionale di Unci Agroalimentare.
“La pesca sostenibile rappresenta sempre più il futuro del settore ittico, perché significa rispetto dell’habitat naturale, consumo responsabile e gestione efficace delle attività. Per questa ragione abbiamo avviato un importante progetto di formazione degli operatori”, ha dichiarato Scognamiglio.
Chiaro il riferimento al Decreto “Cura Italia” appena presentato dal governo Conte che introduce misure a sostegno delle attività economiche innovative. Ma anche per far fronte ai danni causati dalla pandemia in atto: l’articolo 78 prevede aiuti per il settore della pesca e dell’acquacoltura per far fronte ai danni diretti e indiretti subiti dalle imprese a seguito dell’emergenza sanitaria. Una nuova attenzione sul settore della pesca che, però, non deve dimenticare le conseguenze dei cambiamenti climatici sull’ambiente (in generale) e sul Mar Mediterraneo (in particolare).
Il Mar Mediterraneo è una sorta di cartina di tornasole della sostenibilità delle politiche adottate. A confermarlo anche il MAP, il Mediterranean Action Plan dell’Unep l’Agenzia delle Nazioni Unite per l’Ambiente. Impressionanti i numeri: il 15 per cento dei decessi nei paesi mediterranei sarebbe attribuibile a fattori ambientali, con oltre 228mila morti causati dall’inquinamento atmosferico. Ma non basta: 730 tonnellate di plastica riversate in mare ogni anno, una cattiva abitudine che mette a rischio la biodiversità del Mar Mediterraneo. Il tutto in un’area dove i cambiamenti climatici si stanno verificando molto più velocemente di quanto previsto.
Cambiamenti che stanno mettendo seriamente a rischio la sostenibilità e la biodiversità del Mar Mediterraneo e delle acque interne dei paesi che vi si affacciano. Qui l’innalzamento delle temperature medie è più rapido rispetto a quello del resto del pianeta: la temperatura media è aumentata di 1,54°C rispetto al periodo preindustriali (il riscaldamento è più evidente durante i mesi estivi con ondate di caldo più frequenti, soprattutto nelle città, per effetto “isola di calore urbana”). Ciò provoca periodi di siccità alternati a forti precipitazioni (i ricercatori prevedono un calo delle precipitazioni estive di circa il 10-15% in alcune zone e un aumento delle piogge (si intensificheranno del 10-20 per cento in tutte le stagioni).
Si tratta di cambiamenti che mettono a rischio la biodiversità. A confermarlo è il rapporto di RBG Kew che ha coinvolto 210 scienziati di 42 paesi che hanno analizzato lo stato di 350mila specie di piante già catalogate dall’IUCN. Il risultato è che molte di queste specie sono a rischio di estinzione. Una perdita incalcolabile per la biodiversità del pianeta.
Tutto questo, come hanno confermato gli esperti che hanno partecipato al convegno “Futuro della Pesca tra sostenibilità e filiera”, nel Mar Mediterraneo è amplificato. A rischio sono non solo l’ambiente ma la stessa fonte di approvvigionamento di alimenti fondamentali per i paesi che si affacciano sul bacino del Mare Nostrum: non bisogna dimenticare che per queste popolazioni, la pesca non è solo fonte di cibo, ha anche un impatto notevolissimo sull’economia. Ad esempio, UNCI Agroalimentare ha proposto “Piano Triennale pesca, annualità 2020”. Un programma per promuovere una pesca sostenibile, tracciabile e di qualità che spazia dalla formazione degli operatori al monitoraggio della pesca (in particolare di particolari specie, alcune molto diffuse come il nasello, e di grande interesse sotto il profilo economico e alimentare). Aspetti che, come è stato fatto nel convegno “Futuro della Pesca tra sostenibilità e filiera”, sarebbe bene approfondire e condividere affinché i governi dei paesi che si affacciano sul bacino del Mediterraneo ne tengano conto nelle loro politiche sulla pesca.