Dal 1995, in tutto il mondo si celebra la Giornata Mondiale della Tolleranza. Proclamata dall’Assemblea Generale delle Nazioni Unite era già stata proposta con la risoluzione 51/95 dell’UNESCO che sottolineava la necessità di sensibilizzare tutta la popolazione mondiale sull’importanza del rispetto e dell’accettazione di culture differenti e la comprensione di tutti, indipendentemente dall’etnia, dalla religione, dalla lingua e dai costumi.
Guardando la definizione della parola tolleranza, si legge: “Atteggiamento di rispetto o di indulgenza nei riguardi del comportamento delle idee o delle convinzioni altrui anche se in contrasto con le proprie”. Oggi, invece, la cultura dell’uguaglianza è messa seriamente in discussione. Sono sotto gli occhi di tutti i recenti fatti di cronaca che vedono protagonisti il razzismo, l’intolleranza culturale, l’omofobia e il sessismo. Anche nei paesi sviluppati o in quelli che si proclamano paladini dei diritti umani.
Oggi di “tolleranza” quasi non si parla più, si preferisce parlare del suo opposto l’“intolleranza”. Intolleranza verso gli immigrati, intolleranza verso opposte fazioni politiche, intolleranza verso gli omosessuali, intolleranza verso gli animali. Non passa giorno senza che i media riportino casi di intolleranza. Per strada, sui mezzi pubblici, al lavoro, fino ai livelli più alti della politica e della gestione della cosa comune. Un’intolleranza che, quasi sempre, deriva da ignoranza e dalla paura (spesso immotivata) del diverso.
Pochi giorni fa, a parlare di tolleranza è stato il Segretario Generale delle Nazioni Unite, António Guterres, che ha invitato a opporsi all’odio in tutte le sue forme e a respingere le “menzogne e il disgusto” che hanno portato all’ascesa di estremismi politici come il nazismo e che sono fonte di rottura nella società. “Negli ultimi mesi, un flusso costante di pregiudizi ha continuato a rovinare il nostro mondo: aggressioni antisemite, molestie e atti vandalici”, ha detto Guterres. “Il nostro mondo oggi ha bisogno di un ritorno alla ragione – e di un rifiuto delle bugie e del disgusto” che tanti morti e tanti danni alla società hanno causato. Anche prima che il coronavirus colpisse il mondo, ha ricordato Guterres, l’ONU ha dovuto compiere grandi sforzi per “contrastare l’incitamento all’odio, anche attraverso un piano d’azione formale” per “proteggere i luoghi di culto e altri siti religiosi, guidati dall’Alleanza delle civiltà delle Nazioni Unite (UNAOC)”.
Uno sforzo che è stato aumentato dopo l’inizio della pandemia: “Dalla diffusione del virus quest’anno, la nostra nuova iniziativa ‘Verified’ ha combattuto dilagante disinformazione su COVID-19”.
Dal 1995, ogni anno, in occasione della Giornata Mondiale della Tolleranza, in tutto il mondo vengono organizzate conferenze e iniziative per ricordare esempi di persone, enti e istituzioni che hanno contribuito con gesti o comportamenti significativi alla promozione della tolleranza e della non violenza. Ma l’appello principale dovrebbe essere diretto ai governi e ai capi di stato: è a loro che le Nazioni Unite dovrebbero parlare perché cessino le intolleranze che sono causa di scontri, spesso violenti, e di progresso civile in tutto il mondo. Dovrebbero essere i leader mondiali i primi a promuovere il rispetto, il dialogo e la cooperazione tra le diverse culture. Con le leggi ma anche con il proprio comportamento.
Una lezione di tolleranza che ha tra i principali esempi, il Mahatma Gandhi. Oggi ricorre il centoventicinquesimo anniversario della nascita del Mahatma Gandhi, ma il mondo non sembra aver imparato i suoi insegnamenti.