Il Mediterraneo deve inseguire la sostenibilità, l’innovazione e la promozione delle eccellenze locali, incentrando la propria attenzione sulle sfide future della blue economy, dell’agricoltura e rispettando i punti dell’Agenda 2030 delle Nazioni Unite.
La recente presentazione del Report Sustainable Development in the Mediterranean – Transformations to achieve the Sustainable Development Goals (SDGs) “SDGMedReport” realizzato da Sustainable Development Solutions Network for the Mediterranean (SDSN Med) e dal Santa Chiara Lab, dell’Università di Siena, ha messo in evidenza come il ritardo nel raggiungimento dei Goals dell’Onu sia abbastanza evidente. A distanza di 10 anni dal raggiungimento degli Obiettivi di Sviluppo Sostenibile dell’Agenda 2030, tutta la regione mediterranea è indietro e deve accelerare i processi di sviluppo.
Il report ha analizzato il livello di avanzamento verso gli SDGs per 24 Paesi del Mediterraneo con l’obiettivo di favorire l’attuazione di strategie e azioni comuni di trasformazione che possano concretamente portare ad uno sviluppo sostenibile della regione. “I risultati dello studio confermano le grandi sfide e le enormi opportunità che caratterizzano l’area del Mediterraneo” commenta Angelo Riccaboni, Chair del Sustainable Development Solutions Network Mediterranean (SDSN Med) e Presidente del Santa Chiara Lab. “Abbiamo bisogno di uno sforzo collettivo per dare attuazione ad una reale transizione verso la sostenibilità ed è ciò che ci stiamo impegnando a portare avanti in partnership con gli altri centri SDSN del Mediterraneo”, rimarca il professore Riccaboni.
Il Rapporto 2020 ha portato alla costituzione di sei centri geografici, definiti “Mediterranean Hubs”, suddivisi per competenze tematiche, seguendo i principi dei grandi processi trasformativi delineati dal Rapporto sullo sviluppo sostenibile del 2019 realizzato da UN SDSN. Il ritardo nella regione è evidente anche in tema di agrifood e innovazione. “Purtroppo, non stiamo tanto bene. Sulla Terra siamo tanti. Tra pochi anni arriveremo a dieci miliardi. Tutte persone che vanno alimentate. Al momento abbiamo 900 milioni di persone che soffrono la fame. E altrettante che mangiano troppo. È una società strana. E questo problema di disuguaglianze alimentari riguarda anche il nostro Paese. Poi c’è la piaga dello spreco: oggi buttiamo via un terzo di quello che produciamo. Insomma, il tema del cibo è quanto mai importante. Ed è diventato ancora più centrale con la pandemia”, scriveva recentemente Riccaboni.
L’agricoltura nel Mediterraneo deve divenire sostenibile, non possiamo più confidare solo sul mercato. Un cambiamento che deve porre più rispetto per chi produce il cibo, a cui dobbiamo garantire un giusto reddito e un giusto profitto, rendendo le campagne e i piccoli borghi più attrattivi e generando gli stessi servizi delle grandi città. Un’analisi che è valida in tutto il contesto del Mediterraneo.
Il recupero di alcune antiche pratiche agricole come la rotazione delle colture o l’impiego della frazione organica nei campi ci permette di aiutare a invertire la tendenza e viaggiare verso il futuro sostenibile nel rispetto dei punti dell’Agenda 2030. Se accanto alle tradizioni affianchiamo l’innovazione tecnologica, i processi in blockchain lungo tutta la filiera e la promozione degli obiettivi di sviluppo sostenibile in tema di rispetto e tutela del lavoro, possiamo capire dove il Mediterraneo dovrebbe puntare.
La sicurezza alimentare e l’accesso al cibo ritornano ad essere elementi di analisi. Innumerevoli sono i progetti già avviati tra le due sponde del Mediterraneo che meritano attenzione e divulgazione, con idee che possono essere “esportate” in altre realtà del nostro bacino.
Quella dell’alimentazione è una sfida importantissima e il recupero delle tradizioni e dei prodotti tipici del nostro bacino è un’opportunità da studiare e approfondire sia in termini di occupazione che per la salute alimentare dei popoli del Mediterraneo.
Esempio autorevole è il progetto dedicato ai “Grani Autoctoni del Mediterraneo – InGraMed” promosso da Gi.&Me. Association, presieduta dall’ingegnere Franz Martinelli, che attraverso la ricerca scientifica e storica dei prodotti cerealicoli autoctoni, vuole contribuire a porre l’alimentazione al centro delle realtà sociali su cui dover puntare, a partire dalla cooperazione dell’Italia con la Tunisia.
Abbracciare l’intera filiera, dai piccoli agricoltori che lavorano e seminano le varietà tradizionali di grano duro, con le donne che ne fanno prodotti ad alto valore aggiunto, come il borghul, il couscous, il pane e la variegata tipologia di paste della tradizione tunisina fino alla distribuzione finale di questi prodotti ad alta capacità nutrizionale è una sfida che merita sostegno e attenzione.
Il professore Angelo Riccaboni, presidente anche della Fondazione Prima, aveva recentemente dichiarato: “La pandemia pone al centro dell’attenzione la tematica dell’accesso al cibo e della sicurezza alimentare”. Il Mediterraneo può tornare ad avere una centralità mondiale, ponendo al centro l’importanza dell’innovazione dell’agricoltura, il rispetto del prodotto finale e dei processi lavorativi legati al prodotto e sostenendo una cooperazione certa e duratura tra la sponda Nord e la sponda Sud del bacino comune. Una sfida che non può essere rinviata e che può innescare meccanismi virtuosi in tema di occupazione giovanile e di genere.