Prima la pandemia, (con tutte le polemiche sui vaccini ancora irrisolte). Poi le presidenziali americane. Ultima, ma non ultima, la crisi di governo in Italia. Tutti temi che hanno fagocitato l’attenzione dei media da problemi atavici e mai risolti.
Come l’impatto della fauna selvatica sull’economia e sulla salute delle persone. Ormai è diventato uno dei nodi irrisolti del Bel Paese. Un problema di cui si discute da anni ma che spesso le istituzioni hanno finto di non vedere. “Promuovere politiche e soluzioni per attuare su tutto il territorio nazionale nuovi e più incisivi modelli di gestione della fauna selvatica” è stato l’appello rivolto dalla Cia, la Confederazione Italiana Agricoltori, al neo Ministro dell’Ambiente e della Transizione Ecologica, Roberto Cingolani. Anche Coldiretti ha parlato di emergenza cinghiali.
Secondo molti sarebbero i cinghiali e i maiali selvatici a provocare i danni maggiori all’agricoltura. Eppure, finora, poco è stato fatto di concreto. Al più ci si è limitati a riconoscere qualche risarcimento per i danni subiti. O a proporre misure poco efficaci come l’abbattimento selettivo o la sterilizzazione. Tutto inutile: secondo i dati della Cia, sul territorio nazionale gli ungulati sono passati da 900mila nel 2010 a quasi 2 milioni di capi nel 2020.
Da anni, ogni volta che si parla di questo problema, i media (specie quelli locali) si affrettano a riportare la notizia. Poi tutto finisce lì. Nessuno, ad esempio, ricorda i coniugi di Cefalù che, nel 2015, vennero aggrediti da un cinghiale: lui morì e la donna venne ferita gravemente. O l’agricoltore di Iseo (BS) che, per difendere i propri campi, sparò ad un cinghiale mancandolo: l’animale reagì uccidendolo. E la lista potrebbe essere molto più lunga.
Da anni, si parla del moltiplicarsi incontrollato dei cinghiali (ai quali si sono uniti i maiali selvatici). Praticamente inutili i piani di abbattimento (lo dimostrano anche alcune ricerche scientifiche: G. Massei “Wild boar populations up, numbers of hunters down? A review of trends and implications for Europe” o C. Consiglio “Occorre abbattere i Cinghiali per limitarne i danni?”). Il loro numero sempre crescente deriva con ogni probabilità dal fatto che non sono autoctoni di certi ecosistemi (e quindi non hanno nemici “naturali”): fino a circa un secolo fa, il cinghiale era quasi assente nell’Italia settentrionale e nell’Italia centrale e meridionale era presente in misura molto ridotta.
L’abbandono delle campagne per opera dell’uomo e gli incroci con razze estranee o provenienti da allevamenti o con maiali domestici hanno portato ad un aumento incontrollato della loro popolazione. E, di conseguenza, sono aumentati i danni arrecati da questi animali alle colture (e alle superfici boschive). Basti pensare che, solo nel 2020, in Piemonte, sono state oltre cinquemila le segnalazioni di danni causati da fauna selvatica all’agricoltura (peraltro, con un netto incremento rispetto all’anno precedente). Da tempo, le associazioni di coltivatori chiedono la revisione della legge 157/1992, ormai obsoleta e insufficiente a fronteggiare il fenomeno. Ma senza essere ascoltate.
Ma non basta. Sarebbe importante tutelare anche le persone: i rischi per l’incolumità dei cittadini stanno aumentando, non solo nelle aree rurali, ma anche nelle grandi città (anche nella capitale ci sono stati attacchi di cinghiali!). Per non parlare dei rischi legati agli incidenti stradali provocati da cinghiali e altri animali selvatici: nel 2019, in Lombardia sarebbero stati quasi 150 gli incidenti causati da cinghiali o maiali selvatici. Ma secondo quanto riportato dalla Cia, in tutta Italia, gli incidenti causati da fauna selvatica sarebbero oltre 10.000 l’anno. Ma mentre i danni causati alle imprese agricole sono (ma non sempre) dimostrabili e, quindi, rimborsabili, ottenere un risarcimento per i danni subiti da un cinghiale o da un maiale selvatico mentre si passa con l’auto o la moto su una strada di campagna o mentre si passeggia serenamente in campagna è tutta un’altra cosa: è praticamente impossibile.