Sui giornali non si parla d’altro (a parte il – quasi – costituito governo Draghi) se non del caso dell’ambasciatore italiano ucciso nella Repubblica Democratica del Congo, RDC. Non c’è da sorprendersi: l’uccisione di un ambasciatore è un fatto molto grave. In passato, ha portato i paesi coinvolti a dichiarare guerra.
Oggi che le guerre non vengono più “dichiarate” ma annunciate su Twitter, non è più così. Ciò non giustifica il fatto che, in attesa di capire cosa sia realmente accaduto, la risposta delle autorità italiane è stata forse fin troppo blanda. Così come quella dei presunti alleati, a cominciare dai paesi dell’Unione e delle Nazioni Unite: a che serve avere alleati militari (con i quali si condividono armi – si pensi ai satelliti costati una montagna di soldi ai contribuenti italiani, ma messi a disposizione di un governo dell’Europa dell’est – e soldati, spesso impegnati in missioni all’estero o in esercitazioni congiunte in tutto il pianeta) se poi non si fa praticamente nulla quando viene ucciso un ambasciatore?
L’uccisione dell’ambasciatore Luca Attanasio e del Carabiniere Vittorio Iacovacci (entrambi giovanissimi) è un attacco “istituzionale” che non può e non deve essere considerato meno grave di quello che è. Ciò significa, prima di tutto, accertare la dinamica dei fatti (esperti sia italiani che del WFP sono già stati inviati in Congo) e le motivazioni che sono alla base di quanto è avvenuto. É fondamentale sciogliere i molti dubbi che rendono tutta questa vicenda ancora poco chiara.
La prima risposta all’accaduto da parte delle Nazioni Unite è stata a dir poco superficiale: due trafiletti pubblicati sul sito del WFP (il 22 e il 23 Febbraio). Nient’altro. Cos’è avvenuto? Che fine hanno fatto le altre persone che facevano parte del “convoglio”?
Secondo fonti ufficiali, al momento dell’attacco, Attanasio era su una macchina che faceva parte di un convoglio del Programma Alimentare Mondiale (WFP) delle Nazioni Unite. Finora, si è parlato solo di Attanasio e di Iacovacci (e del loro autista). Ma il comunicato ufficiale del WFP parla di un “gruppo composto da cinque dipendenti del World Food Programme che accompagnavano l’ambasciatore” e il carabiniere Iacovacci. Uno sarebbe l’autista di uno dei veicoli, Mustapha Milambo, che sarebbe stato ucciso subito. Gli altri erano “il vice direttore nazionale del WFP nella RDC, Rocco Leone, assistente del programma di alimentazione scolastica del WFP, Fidele Zabandora, responsabile della sicurezza del WFP, Mansour Rwagaza e l’altro autista Claude Mukata”.
Secondo fonti ufficiali “sarebbero stati portati nella boscaglia circostante dove ci sarebbe stato uno scontro a fuoco” (con chi? con i rangers? Con altri gruppi rivoltosi?). “Qui, l’ambasciatore Attanasio e la sua scorta, Iacovacci, sarebbero stati feriti e sarebbero morti poco dopo”. Miracolosamente (?) perfettamente illesi, invece, gli altri quattro del gruppo. Perché solo uno degli autisti, Milambo, è stato ucciso subito e l’altro invece è rimasto illeso? E com’è possibile che il “responsabile della sicurezza” del WFP non sapesse quali erano i rischi cui andavano incontro attraversando quella zona? Il luogo dell’attacco si trova non lontano dalla città di Goma, quasi al confine tra RDC e Uganda e Ruanda. Una zona che da sempre è oggetto di scontri tra fazioni locali impegnate in scontri tribali per il controllo del territorio e ranger governativi. Una zona “calda” che, però, è stata considerata “sicura” in vista della visita dell’ambasciatore (lo dimostrerebbe il fatto che era con la sola scorta personale).
Ma quel percorso non è affatto sicuro. E lo sanno tutti. La zona a nord di Goma, che fa parte della regione dei Grandi Laghi, area meravigliosa da un punto di vista naturalistico, tra montagne vulcaniche e fitte foreste, non è certo una destinazione turistica: da decenni è caratterizzata da violenze e scontri armati. Eppure, quel tratto di strada è stato considerato non a rischio dal WFP e dall’ambasciatore. Stranamente, solo pochi giorni fa, tra l’11 e il 13 febbraio, un’altra delegazione delle NU (del Consiglio di Sicurezza) aveva percorso la stessa strada tra Goma e Rutshuru, ma lo aveva fatto scortata dai veicoli blindati e dai caschi blu delle NU partecipanti alla missione Monusco di peacekeeping dell’ONU (oltre 17mila le unità, di cui più di 12 mila militari, la cui missione è, tra l’altro, proprio scortare negli spostamenti diplomatici o altro personale internazionale).
A proteggere l’ambasciatore italiano e i funzionari del WFP, invece, non c’era nemmeno un casco blu. Come mai? Eppure tra Goma e Rutshuru, negli ultimi 2-3 anni, gli attacchi sono stati frequenti. Spesso si è trattato di rapimenti lampo che, però, hanno riguardato i locali o turisti per i quali i rapitori chiedono riscatti di qualche migliaio di euro: nel maggio 2018 sono stati rapiti e poi rilasciati due turisti inglesi e il loro autista.
L’area pullula di decine di gruppi armati che, spesso in conflitto tra loro, generano instabilità e insicurezza vicino alle frontiere tra RDC, Ruanda e Uganda, per sfuggire ai controlli (recentemente il presidente del Ruanda, Paul Kagame, ha accusato Burundi e Uganda di sostenere i ribelli ruandesi attivi nelle province del Nord e del Sud Kivu della RDC e ha minacciato ritorsioni per gli attacchi di quei gruppi al suo Paese).
Possibile che nessuno sapesse che, proprio in quella zona, sono presenti i miliziani delle Forze democratiche per la liberazione del Ruanda (molti gli episodi di violenza nei quali sarebbero coinvolti, tra i quali quello nel parco nazionale dei Virunga dove 17 persone erano state uccise, di cui 12 ranger)? Secondo il governatore della provincia del Kivu settentrionale, Carly Nzanzu, i veicoli del WFP sarebbero stati “attaccati da un gruppo di sei assalitori, che hanno sparato colpi di avvertimento e hanno cercato di portare tutti i passeggeri nel parco di Virunga”. In quella zona, ci sarebbe anche il gruppo armato M23: ex militari che hanno disertato l’esercito congolese nel 2012. A rendere critica la zona anche la presenza dei ranger del governo che svolgono un lavoro molto pericoloso per proteggere il parco tra bracconaggio, estrazione illegale e gruppi armati. Negli ultimi anni, sono stati moltissimo gli scontri tra ranger e gruppi armati locali con decine di morti.
Quello che le NU definiscono eufemisticamente un “incidente” è avvenuto in una zona calda, anzi caldissima. “Una strada che in precedenza era stata sgomberata per viaggiare senza scorta di sicurezza”, si legge in un comunicato del WFP. I fatti dimostrano che non era così. L’ambasciatore era lì, sull’auto delle NU, senza nemmeno un casco blu di scorta, senza nessuna protezione, “in viaggio da Goma per visitare un programma di alimentazione scolastica del WFP a Rutshuru quando l’incidente è avvenuto”.
Un “incidente”, come continuano a definirlo le NU, con molti dubbi: secondo la comunicazione del WFP uno degli autisti sarebbe stato ucciso subito. Ma il governatore della provincia del Kivu settentrionale, Carly Nzanzu ha dato una versione leggermente diversa: “una pattuglia dei ranger del Parco Nazionale di Virunga è intervenuta ed è riuscita a liberare quattro persone”, ha dichiarato, “sfortunatamente, prima di scappare, gli assalitori hanno sparato all’ambasciatore e alla sua guardia del corpo, e hanno ucciso l’autista congolese”. L’unica cosa sicura, fino ad ora, è che non sarà facile capire con certezza cosa è avvenuto. Al di là delle motivazioni lodevoli del nostro ambasciatore, restano molti i dubbi sulla capacità di alcune organizzazioni internazionali di gestire i conflitti in alcune zone del pianeta (se la stessa cosa fosse avvenuta in Medio Oriente, i bombardieri americani sarebbero già in volo). Qui, gli interessi economici che ruotano intorno alle materie prime (la RDC è ricchissima di coltan, oro, acqua e molte altre materie prime) fanno passare in secondo piano povertà e violenze inimmaginabili. Condizioni di vita alle quali nessuno pensa quando accende un cellulare (la maggior parte delle batterie dei moderni smartphone utilizza il litio estratto grazie allo sfruttamento minorile in RDC) o quando compra della frutta al supermercato o un abito o un’automobile. Qui, si vive in un mondo che è lontano anni luce dal resto del mondo. E che al resto del mondo sembra non interessare e del quale si preferisce non parlare. Almeno fino a quando ad essere ucciso non è un ambasciatore di uno stato straniero.