Non enim navigare per hunc librum intendimus,
uti per portulanum et mapas nautarum,
quibus docetur scopulos et siccas atque malas evitare
(Giovanni da Fontana, 1544)
L’esordio di Mario Draghi in Europa nella nuova veste di Presidente del Consiglio italiano si manifesta come l’ unica possibilità di accelerare il salto di qualità dell’ Unione. Con la prossima uscita di scena di Angela Merkel, l’ Italia sta prendendo il posto della Germania nel nuovo asse strategico con la Francia di Emmanuel Macron.
Una nuova pedagogia europea comincia a dispiegarsi anche nei confronti dei paesi membri orientali, nel tentativo di sottrarli all’ orbita della Cina di Xi Jinping che sta utilizzando il cavallo di Troia del proprio vaccino per insidiare il continente assediato dalla terza ondata del contagio.
Con la leadership innovativa ma debole di Ursula von der Leyen, l’Unione si trova nella condizione di Giovanni Castorp, il protagonista de “La Montagna incantata” (Der Zauberberg) di Thomas Mann, Nobel per la letteratura nel 1929, scritto nel 1924 e tradotto in italiano nel 1932, alla vigilia dell’ avvento dei fascismi in Germania, in Spagna con Francisco Franco e quel Portogallo con Antonio Oliveira Salazar, di cui tanto ha narrato Antonio Tabucchi in “Sostiene Pereira” e ne “La testa perduta di Damasceno Pereira” e cantato Ferdinando Pessoa le cui parole sul letto di morte furono “I know not what tomorrow will bring”. Alla fine, come Goethe, chiese gli occhiali per avere “più luce”. I regimi ispanici dureranno diversi decenni anche grazie alla scelta di mantenersi neutrali nel corso della seconda guerra mondiale.
Nel romanzo manniano si narra, con il periodare colto e fascinoso dello scrittore tedesco, dell’ anima del giovane Hans Castorp disputata tra l’ex gesuita anarchico e individualista Leo Naphta e l’ umanista massone Lodovico Settembrini nell’ atmosfera rarefatta del lussuoso sanatorio del Berghof a Davos,uno dei tanti luoghi di moda, anche sanitaria, della borghesia europea del tempo.
L’albergo, dove Mann soggiornò più volte, è poi diventato la location del film “La Giovinezza” Youth del 2015, scritto e diretto da Paolo Sorrentino con le interpretazioni di Michael Caine, Rachel Weisz, Harvey Keitel ed un cameo di rara bellezza dedicato a Diego Armando Maradona.
Similmente al giovane Castorp, l’ Europa che non seppe darsi una vera Costituzione nel 2007, ripiegando due anni dopo sul fragile Trattato di Lisbona, rischia di essere concupita da due giganti del Pianeta: la Cina, non paga del nuovo impero africano e la Federazione Russa neo zarista di Vladimir Putin.
Un rischio che sarebbe di massima allerta se Trump fosse ancora l’ inquilino della Casa Bianca ma che resta elevato, tenuto conto che l’europeismo di Joe Biden non è ancora un multiculturalismo pieno, in quanto ancora sovrastato dalle tante necessità interne dovuta alle conseguenze, ora economiche e sociali, della pandemia sul suolo americano e del rientro “organico” dell’ex Commander in chief nel Partito Repubblicano.
La narrazione ha quale protagonista il giovanissimo ingegnere navale di Amburgo, Hans Giovanni Castorp in visita di cortesia al cugino Joachim Ziemseen, cadetto dell’esercito prussiano, che sta curando un’infezione polmonare – probabilmente una tubercolosi – sotto la guida dell’infettivologo Beherens, padre padrone del sanatorio alpino. Vi resterà per sette anni, anch’egli in cura dopo una diagnosi quasi casuale, mentre in pianura si prepara il primo olocausto europeo.
Così ha scritto il celebre germanista Ervino Pocar nell’introduzione all’edizione italiana, Mondadori 1965: “La montagna incantata è un fedele, complesso, esauriente ritratto della civiltà occidentale dei primi decenni del Novecento e, nella sua incantata fusione di prosa e poesia, di vastità scientifica e di arte raffinata, è il libro, forse, più grandioso che sia stato scritto nella prima metà del secolo”
L’autore di questo articolo lesse “Der Zauberberg” mentre affrontava la tesi di laurea con l’ aiuto, più che del chiarissimo relatore, del meritorio ”Come si scrive una tesi di laurea” di Umberto Eco pubblicato in tempo nel 1977. Come annunciato dal maestro, è l’ occasione per la “prima vera opera scritta” della vita. Per molti è stata anche l’ultima. Utilizzando l’ intero corpus delle opere manniane come testo-pretesto per sostenere la propria tesi, descrisse l’ ascesa e la caduta dell’ intellettuale europeo che nasce da un ceppo borghese solido e robusto e nel volgere di non più di tre generazioni esprime l’intellettuale quale fragile ed infelice ultimo germoglio, sovente sterile, che pone fine alla dinastia. In Italia è accaduto agli Agnelli, ai Pirelli, ai Merloni, ai Cecchi Gori ed a tanti altri imprenditori meno noti alle cronache del tempo.
Svelato così al lettore il motivo principale dello sterminato debito nei confronti di Umberto da Bologna – come egli stesso, alessandrino di nascita, si definì ne il “Nome della Rosa” – ricordato spesso su queste pagine per lo straordinario valore anagogico dei suoi romanzi, più che per la poderosa consistenza dei saggi di linguistica noti, un po’ meno, in ogni parte del mondo, è il caso di ritornare al valore anticipatore della prosa manniana accostata all’attuale situazione europea.
Talvolta si ha l’impressione che l’annuncio di Angela Merkel di ritirarsi dalla vita politica nel corso del 1921, dopo trenta e più anni di attività politica nella CDU e diciassette di cancellierato, non venga colto con l’attenzione dovuta. Da colei che Forbes Magazine ebbe a definire “la donna più potente al mondo” l’Unione ha ricevuto l’impronta più marcata anche attraverso l’ inossidabile sodalizio con la Francia di ben quattro presidenti (Chirac, Sarkozy, Holland e Macron) e la spinta all’ingresso nell’ Unione dei paesi dell’Est europeo, da sempre considerato, pur con connotazioni diverse, il lebensewelt (mondo vitale) degli ex imperi centrali.
Gli storici ricostruiranno presto meriti ed errori della brillante ricercatrice di chimica nata ad Amburgo nel 1955 e diventata presto l’erede di Helmut Kohl, il federatore delle due germanie dopo la caduta del Muro di Berlino nel 1989, all’insegna di un coraggioso ed allora poco noto what ever it takes. Forse rileveranno tra gli errori la designazione di Ursula von der Leyen, la cui leadership europea non è apparsa, finora, brillante. Di fatto, comunque, il ruolo della Merkel è stato determinante anche nei momenti in cui è apparsa odiatissima per la fermezza mostrata in molti campi anche quando scelse di aprire le porte, avvedutamente visti i requisiti di scolarizzazione richiesti, ad oltre un milione di profughi siriani.
In Italia ancora si dibatteva tra le esitazioni del Partito Democratico e le visioni post fasciste di Matteo Salvini che presto però lo avrebbero visto al governo del Paese insieme ai noti “scappati di casi” e sotto la guida periclitante di un “avvocato del popolo” che, secondo l’opinione di chi scrive, tanti danni hanno procurato alla politica italiana. Per fortuna, e non solo, è ora un brutto ricordo del passato che svanisce ogni giorno di più insieme all’ ormai triste tramonto di un patetico comico in cerca un nuovo pubblico da imbonire, che si prende frattanto gioco di quello che fu il partito di Enrico Berlinguer, offrendosi sia pur parodisticamente come guida “elevata” nella fase acefala in cui le dimissioni polemiche del Nicola Zingaretti l’hanno precipitato, nonostante gli avvertimenti di cautela che pur gli erano stati rivolti in merito ai pericolosi consigli di Goffredo Bettini.
Il malato europeo è apparso per alcuni anni una preda facile agli occhi rapaci del più grande paese del mondo che intendeva farne il proprio trofeo nel centenario del Partito Comunista, con la complicità in Italia di mezzi “agenti all’Avana” e “sarti di Panama” ipnotizzati, già dal tempo di Gian Roberto Casaleggio, dalla Cintura di Seta, spacciata come via di sviluppo e di pace ma pronta a strangolare anche l’occidente, confidando, forse, che la misteriosa fuga e la conseguente diffusione mondiale di un virus letale da quel paese e di cui mai sapremo la verità, avrebbe fatto il resto.
Peraltro, l’isolamento dell’Unione, frattanto snobbata da Donald Trump che trovava in Giuseppe Conte un confuso riferimento, avrebbe indebolito il fronte della NATO, consentendo a Pechino di imporre ad Hong Kong la repressione che conosciamo ed a Taiwan quell’invasione che ancora oggi è temuta da Taipei e dagli osservatori internazionali.
Nel frattempo, si registrano segnali, ancora criptici, da parte dei regni arabi ricchi ma preoccupati per il crescente isolamento internazionale che potrebbe lasciarli in balia della Cina, incoraggiare i movimenti terroristici di matrice islamica che, ove ribaltassero le monarchie del deserto, potrebbero tagliare ancora una volta la giugulare dell’Occidente, come avvenne, a cura dell’OPEC, nel 1973 e come avrebbe fatto Saddam Hussein nel 1990, se le cose fossero andate diversamente. Uno scenario simile al film del 1975 “I tre giorni del Condor” con Robert Redford, di cui ho scritto altrove ma che ora andrebbe oltre ogni fantasia.
Un pericolo ben presente, pur con modalità d’intervento diverse, sia a Donald Trump che a Joe Biden del quale sono noti gli antichi rapporti di stima con Matteo Renzi sin dai tempi di Barack Obama. Un elemento che oggi forse potrebbe far comprendere alcune mosse che sono apparse spregiudicate sulla base del ruolo avuto, secondo i rapporti della CIA resi pubblici, dal principe ereditario saudita Mohammed bin-Salman nel caso di Jamal Khashoggi, trucidato nel consolato arabo di Istanbul e di cui ho scritto.
Il senatore fiorentino, membro della Commissione Difesa e di cui in più occasioni si è fatto il nome come prossimo Segretario Generale della NATO, potrebbe succedere nel 2022 al norvegese Jens Stoltenberg già al secondo rinnovo del mandato quadriennale. Una nomina che conterebbe sull’approvazione di USA, Unione Europea e dei pochi altri restanti tra i trenta membri attuali, ad eccezione, forse, della Turchia di Recep Tayyp Erdogan.
Renzi fa parte, e non da ora, del board di Future Investment Initiative, denominato la “Davos del deserto” che sta valutando i segnali di allarme lanciati dal recente rapporto del Fondo Monetario Internazionale circa il rischio di possibili nuove primavere arabe, i cui tragico esito abbiamo già visto dieci anni fa.
Centinaia di migliaia di lavoratori – tenuti finora ai margini del sogno arabo contenuto nel programma Vision 2030 della Casa Saudita – in condizioni misere, privi di diritti civili e non ancora raggiunti dai vaccini sarebbero fertile terreno per il reclutamento, da parte degli “stati canaglia” che finanziano sottobanco il terrorismo islamico, di cospicue milizie.
E non è casuale il viaggio urgente, ed alto rischio di sicurezza e di contagio, in Iraq di Papa Francesco, che, com’è risaputo, dispone di una delle migliori intelligence del Pianeta costituita da prelati, preti e suore presenti in modo vigilie e attento in ogni continente, come ho scritto nell’articolo sull’Africa di Luca Attanasio qualche giorno fa.
Intanto, nella Davos di Hans Castorp il mellifluo dottor Beherens rende succubi i propri pazienti imponendo loro un paralizzante pneumo-torace e scoraggiando in ogni modo il desiderio di molti di essi di interrompere le cure, lasciare la montagna magica e tornare in pianura. L’ Unione Europea, prigioniera della pania burocratica che ne condiziona sovente l’azione politica, ha rischiato di trovarsi presto anch’essa in sanatorio, salvo a dichiarare prima o poi, un “si salvi chi può” soprattutto in merito alla vicenda, ancora opaca, della prenotazione a scatola chiusa dei vaccini e il cui fallimento potrebbe ancora aprire le porte alla dipendenza dai preparati cinesi o da quelli russi.
Su tale scenario, a lungo sommerso dal chiacchiericcio dei social ad uso governativo, irrompe Mario Draghi con un silenzio assordante – interrotto finora solo due volte compreso il video messaggio rivolto al Paese, con linguaggio da vero statista, l’8 marzo – con una mossa a sorpresa che conferma, ove ce ne fosse bisogno, la statura della persona, la fulminea capacità strategica e la conoscenza del mondo.
Mentre residui oppositori ne criticano ancora la scelta di non esibirsi a raffica sui media come il suo predecessore ed altri che hanno sperperato miliardi euro in modi fantasiosi gli hanno chiesto solo per qualche ora, prima di essere sommersi dal ridicolo, “chiarimenti” su un incarico di consulenza a McKinsey dell’ammontare di venticinquemila euro, l’ex presidente della BCE suona un colpo di timpano e, semplicemente appellandosi ad un regolamento europeo già esistente, taglia le gambe all’esportazione più o meno legale di vaccini prodotti in Europa verso altri continenti, peraltro in condizioni sanitarie infinitamente migliori di quelle di molti paesi dell’Unione.
Una posizione di autorevolezza, che ricorda il NO di Bettino Craxi al dictat americano di Sigonella, fatto pagare poi a caro prezzo al medesimo o, più probabilmente, il preludio all’unico sovranismo possibile, quello europeo, in uno scenario globale in cui i nazionalismi sono solo parodie da operetta in cui recitano granduchi e vedove allegre?
Utilissima al riguardo l’analisi dell’ economista Alberto Quadrio Curzio, presidente emerito dell’Accademia dei Lincei, che così ha scritto l’8 marzo: “ Ci vuole quindi più “sovranità” europea da non confondere con il “sovranismo” degli Stati. Alla Università di Bologna nel 2019, quando gli fu conferita la laurea in Giurisprudenza, Draghi disse che “nel mondo di oggi le interconnessioni tecnologiche, finanziarie, commerciali sono così potenti” per consentire ai singoli Sati europei di avere una sovranità piena. Nella Unione essi hanno una “sovranità condivisa, preferibile a una insistente” che consente loro di avere una indipendenza in molti campi. Il caso della non-autosufficienza tecno-scientifica europea per i vaccini è un caso dimostrativo che mostra non solo la necessità di una Ue più indipendente ma anche la necessità di una Ue non costretta a scegliere nell’attuale situazione tra i vaccini americani, quelli russi e quelli cinesi. La Ue, pur atlantista, può spingere anche il multilateralismo se è innovativa e solida”. E’ lecito considerarlo un preludio ad un più ampio dibattito sugli Stati Uniti d’Europa ? In molti lo auspichiamo e non da oggi.
Il nodo di Gordio dell’affaire vaccini doveva esser tranciato di netto e Draghi lo ha fatto in quanto condizione essenziale per rendere operativo il ruolo del generale Francesco Paolo Figliuolo, altrimenti impotente per mancanza della materia prima di cui organizzare la distribuzione manu militari. Un intervento organizzativo atteso dal Paese, reduce dalla gestione della crisi da parte di Domenico Arcuri, ad oggi non indagato, ma su cui potrebbero addensarsi fosche nubi giudiziarie a seguito delle indagini sul mediatore Mario Benotti e dell’arresto di Edisson Jorge San Andres Solis. Ancora una volta – guarda un po’ – c’è di mezzo la Cina.
La mossa di Draghi è da Alto Rappresentante della politica estera, ruolo che a Bruxelles non ha mai brillato, come ricorda la deludente performance di Federica Mogherini, classe 1973, scomparsa dai radar dopo essere stata ammantata nel settembre scorso con l’Ermellino del Collegio d’Europa in Bruges, nonostante le perplessità del quotidiano francese Liberation circa il curriculum accademico della medesima che si ferma alla laurea in Scienze Politiche alla Sapienza, per quanto magma cum laude. Il resto sono incarichi politici di partito ed internazionali , pur prestigiosi ma conseguenti e di corredo al ruolo principale rivestito.
E mentre non si è ancora spenta l’eco del timpano, Draghi suona la sveglia all’Unione di cui l’Italia sta diventando il nuovo pilastro insieme alla Francia in una visione più mediterranea da tutti auspicata anche con riferimento ai paesi rivieraschi dell’Africa, dopo il mancato avvio di quell’Area di Libero Scambio che sarebbe dovuta decollare il primo gennaio del 2010 se l’inquilino dell’Eliseo di allora, Nicholas Sarkozy, non si fosse messo di traverso. Molte verità sono finora emerse nella condanna in primo grado per corruzione del XXIII presidente della Repubblica Francese. Un fatto senza precedenti per il quale Charles De Gaulle, suo modello all’inizio della vita politica, gli avrebbe consegnato una pistola con un unico colpo. Sic transit gloria mundi!
La parte finale de “La Montagna incantata” – una lettura impegnativa ma essenziale per comprendere il DNA dell’Europa contemporanea – vedrà un susseguirsi di eventi drammatici, profezie di quel conflitto in cui precipiterà l’Europa, si determinerà l’umiliazione della Germania a Versailles che , quale inevitabile reazione, determinerà la tragica epifania della presa del potere, per via “democratica” da parte di Adolf Hitler nel 1933.
Al termine del romanzo, nel sanatorio di Davos iniziano a serpeggiare una forte insofferenza e una palese inquietudine; simboli probabilmente della fine della Belle Époque, ma anche delle future contraddizioni della Repubblica di Weimar. Persino le discussioni tra Naphta e Settembrini si fanno più veementi e il primo sfida l’altro a duello. Al rifiuto dell’italiano di sparare all’amico-nemico di tante diatribe, Naphta si suicida poiché quel gesto umanitario nei propri confronti lo ha definitivamente sconfitto. Abbandonati sulla cima della Montagna dal tempo magicamente sospeso i lancinanti dubbi alimentati dai due mentori contrapposti che non sono però riusciti ad accaparrarsi la sua anima, Hans Castorp scenderà in “pianura” per arruolarsi nell’esercito.
Ne ritroveremo i tormenti, sotto le mutate spoglie del protagonista dell’ultima fatica colossale di Thomas Mann – seguiranno solo due brevi racconti tra cui l’incompiuto “Felix Krull” del 1954 – stabilitosi in Svizzera dopo l’esilio negli Stati Uniti e il rifiuto di presiedere la Germania Federale, pubblicata nel 1947 con il titolo “Doktor Faustus. Das Leben des deutschen Tonsetzers Adrian Leverkühn, erzählt von einem Freunde” (Doctor Faustus. La vita del compositore tedesco Adrian Leverkühn, narrata da un amico). Ma questa è un’altra storia.
Quella di casa nostra, invece, continua in modo schizofrenico tra falsi profeti, periclitanti leaders di partiti in decomposizione, uomini ( e donne) della Provvidenza più o meno mimetizzati ed esuli richiamati – che si credono il centro del mondo essendone invece periferia – e la voce della Ragione che salva dalle derive dell’anima e del pensiero purchè la si sappia distinguere nel clamore procurato ad arte dai molti pagliacci tristi che affollano ancora il circo mediatico, mentre dal monte scende a valle l’eco del monito “La ragione umana deve soltanto volere con più forza del destino, ed è il destino.”
Intanto nel mondo il Grande Gioco continua.