Contiamo a giorni alterni le bare bianche e proprio per questo dobbiamo lavorare con le scuole. Serve educare ai sentimenti e serve educare ad un uso consapevole delle nuove tecnologie
Il dramma della morte di bambini, o di adolescenti, non sembra arrestarsi e la cronaca ci riporta continuamente casi di suicidio. Gli episodi aumentano giorno dopo giorno e continuiamo a sentirci impotenti e incapaci di trovare soluzioni. Una ragazzina di 12 anni si è impiccata con la cintura dell’accappatoio a una mensola della sua stanza. Il padre l’ha trovata morta nella loro casa di Borgofranco di Ivrea. Una bambina che non mostrava alcun segno di insofferenza e che non aveva manifestato disagi di alcun genere. Lo zio intervistato ha dichiarato: “Per me è colpa di Tik Tok, non aveva alcun motivo per uccidersi”. Qualche mese fa ci ha sconvolti la morte di Antonella, una bambina palermitana di soli 10 anni, anche lei morta asfissiata dalla cintura dell’accappatoio. In una continua escalation di terribili eventi abbiamo saputo della morte di un bambino, di 9 anni, a Bari e a Lecce un’altra giovanissima ha cercato di uccidersi nei bagni della scuola ed è stata salvata in extremis.
Ad Ivrea la procura ha iniziato le indagini contro ignoti, ma per il momento non ci sono elementi riconducibili ad una sfida su Tik Tok. Il telefono e il computer della piccola verranno analizzati per cercare prove e per tentare di far luce su quanto accaduto. Nulla è escluso e ogni pista sarà setacciata. Il garante della privacy, a febbraio, ha preteso maggiori controlli su Tik Tok per i minori di tredici anni.
Da mesi continuo a condurre la mia battaglia contro i pericoli del web, perché è chiaro che le nuove generazioni non sanno a cosa vanno incontro. Tik Tok sta spopolando ed è la piattaforma del momento, amatissima da tantissimi utenti. La maggioranza degli alunni, soprattutto delle elementari e medie, che ho incontrato in questi mesi on line, collegato con le scuole, è iscritto al social cinese e vive letteralmente sulla rete pur di creare nuovi video ed essere accettato dal gruppo di pare. Il problema che ho sollevato è il ripetersi di challenge pericolosissime che possono diventare mortali..
Le mie ricerche recenti hanno messo in risalto come, molto spesso, manchino alle nuove generazioni gli strumenti per comprendere le implicazioni dell’agire social e attuare un percorso che li porti ad acquisire una piena autonomia individuale. Le challenge che ho avuto modo di studiare comportano diversi rischi. Voglio ricordare la “Shoe Challenge” che consiste nel provare il maggior numero di scarpe e vestiti in 15 secondi, tutto rigorosamente a tempo di musica. Il rischio pedo-pornografia è altissimo con ragazzine che si svestono senza problemi in nome della sfida. Non si può non menzionare la “Eyeballing Challenge” che consiste nel versarsi la vodka negli occhi. Tra le peggiori troviamo la “Skullbreaker Challenge” letteralmente la sfida a colui che rompe il cranio, anche detta “Tripping Challenge” cioè sfida dello sgambetto. I partecipanti sono tre, allineati in orizzontale e pronti a saltare, ma uno di loro è ignaro della “sfida”. Nel momento in cui la persona salta gli altri due, che si trovano ai lati, gli tendono contemporaneamente uno sgambetto, facendolo cadere e sbattere testa e schiena a terra.
La “Planking Challenge” dove adolescenti e i giovanissimi si lanciano contro le automobili in corsa per cercare di sedersi sul cofano. Nei casi più estremi c’è anche chi si sdraia sull’asfalto e vuole provare quel brivido di scansare le auto in arrivo, soprattutto sulle strade a scorrimento veloce. Potrei citarne davvero tante altre e l’aspetto più angosciante è che non sempre si arrivi a dimostrare le responsabilità di queste assurde sfide. Quando non si trovano indizi tutto viene archiviato e inserito nel dimenticatoio.
Nel mio ultimo libro “Figli delle App”, edito da Franco Angeli nella collana di Sociologia, ho evidenziato come i ragazzi siano sempre più soli. Costantemente alla ricerca di conferme. Il loro modo di avvicinarsi ai social ci mostra la complessità e le contraddizioni della loro vita sociale sulla rete, le loro fragilità emotive e le loro difficoltà di relazione. Il problema non è Tik Tok, ma il fatto che si può usare sotto i tredici anni. Nella mia ricerca sono riuscito a raccogliere dati che dimostrano come Tik Tok valorizza la creatività dei giovani e li vetrinizza come vogliono loro.
Apparire davanti al proprio gruppo di pari può essere una delle motivazioni che li spinge ad avvicinarsi alle challenge, poiché molto spesso ha un titolo accattivante che può nascondere insidie pericolose. Siamo davanti ad una vera e complessa emergenza educativa. Contiamo a giorni alterni le bare bianche e proprio per questo dobbiamo lavorare con le scuole. Serve educare ai sentimenti e serve educare ad un uso consapevole delle nuove tecnologie. Ci vogliono scuole per genitori per comprendere le opportunità e i rischi della rete. La società si deve fare carico attraverso un’alleanza educativa che veda istituzioni, famiglie, scuole, università e associazioni insieme per non fermare i sogni dei nostri ragazzi ipertecnologici, molto connessi ma con poche relazioni vere. Fragili e isolati, ma sempre su Instagram, Whatsapp e Tik Tok.