“Otto ore di lavoro, otto di svago, otto per dormire” fu il motto coniato in Australia nel 1855 e condiviso da gran parte del movimento sindacale organizzato del primo Novecento. Si aprì così la strada a rivendicazioni generali e alla ricerca di un giorno, il primo maggio, in cui tutti i lavoratori potessero incontrarsi per manifestare la propria autonomia e indipendenza.
Il Primo Maggio nasce come momento di lotta internazionale di tutti i lavoratori, senza barriere geografiche, nè tanto meno sociali, per affermare i propri diritti e per migliorare la propria condizione. Il primo maggio, Festa dei lavoratori, ricorrenza che viene celebrata in molti paesi, simbolo delle conquiste ottenute dai sindacati, con raduni e varie attività, ha lasciato nei secoli testimonianze anche nel campo dell’arte.
Il primo maggio ci fu uno sciopero generale poiché proprio quel giorno era l’ultimo per estendere le leggi dell’Illinois sulle otto ore di lavoro. La polizia fu chiamata a sedare l’assembramento e sparò contro i manifestanti, uccidendone due e ferendone diversi. Per protestare la brutalità delle forze dell’ordine si organizzò una manifestazione nell’Haymarket Square, dove di solito si teneva il mercato delle macchine agricole, che continuò fino al 4 maggio, quando una bomba fu lanciata in mezzo alla folla, uccidendo sei poliziotti e ferendone una cinquantina. La polizia, dunque, sparò a sua volta sui manifestanti. Non si seppe mai il numero di vittime di quello scontro né chi lanciò la bomba. Per questi sanguinosi fatti, fu scelto il Primo Maggio come data celebrativa.
Il dipinto “Gli spaccapietre” di Gustave Courbet descrive in modo estremamente realistico il duro lavoro degli operai in Francia a metà Ottocento. L’opera purtroppo fu distrutta durante i bombardamenti di Dresda della Seconda Guerra Mondiale. Due operai sono impegnati nel duro lavoro di spaccare le pietre per ricavarne ciottoli e ghiaia. A destra è raffigurato con il ginocchio sinistro poggiato a terra il più anziano. Le mani stringono un pesante martello sollevato per spaccare una pietra in basso. Il volto dell’operaio è nascosto dal largo cappello che lo protegge dal sole. A sinistra, invece, si trova il suo garzone. Il ragazzo è impegnato a trasportare una cesta pesante piena di ciottoli. Il suo strumento di lavoro, una zappa, è poggiato a terra tra altre pietre frantumate.
A destra ci sono una pentola, un cucchiaio e del cibo che sono poggiati su di un panno che li protegge dalla polvere del terreno. Le vesti dei due operai sono povere e lacere. Nello spazio di lavoro il paesaggio appare quasi arido per dare rilevanza a pietre e ciottoli. Sul fondo si alza una collina in ombra mentre a destra si intravede un piccolo squarcio di cielo azzurro.
Il lavoro nei campi è in dubbiamente un’icona dei lavoratori. Molti artisti hanno ritratto i contadini in una giornata lavorativa, mettendo in mostra la fatica, la povertà, i visi segnati e i corpi ricurvi sui campi.
“I Mietitori”, dipinto da Pieter Bruegel il Vecchio, è un quadro del 1565. Fa parte di un ideale ciclo di sei dipinti (ma solo cinque di questi sono sopravvissuti) rappresentante le stagioni. La scena raffigura il lavoro e il riposo in una calda giornata estiva. In un campo di spighe dorate sotto un cielo limpido, alcuni contadini stanno mietendo il grano. Le donne sono occupate nella raccolta e nel trasporto delle fascine. Un uomo si fa strada tra il muro di spighe: ha una brocca in mano e il passo stanco. Presto raggiungerà i suoi compagni che riposano e mangiano all’ombra di un pero. Si intravede una chiesetta tra le fronde della vegetazione e, più lontano, un villaggio e un castello. Anche lo sfondo è popolato da figurette, con un carro che trasporta il fieno, e altri contadini piccolissimi che si dedicano ad attività ricreative. Sulla collina a destra, oltre il confine dei prati centrali, altri campi si perdono in lontananza. Al centro poi la veduta di un bacino sfuma nel vapore della calura estiva.
Nel 1857, Jean François Millet, dopo dieci anni a studiare le spigolatrici, dipinse il quadro che divenne il simbolo dell’umile e faticoso lavoro nei campi, illuminando le donne con una luce eroica e scultorea. “Le spigolatrici” erano figure del proletariato rurale molto povero. Le donne infatti erano autorizzate a raccogliere frettolosamente le spighe cadute dalla mietitura giornaliera. Nel dipinto Millet dispone in primo piano le donne impegnate nel duro lavoro. In lontananza invece i mietitori sono rappresentati accanto a grandi covoni di grano. Le tre spigolatrici sono chine sul campo appena mietuto e raccolgono le poche spighe cadute a terra. Due di loro hanno la schiena curva e scelgono accuratamente il raccolto. La donna di destra invece si sta rialzando per riporre sulla sacca frontale i chicchi. Sullo sfondo sono pronti grandi covoni di grano sopra i quali alcuni operai continuano a sistemare le piante raccolte. Un carretto è fermo al centro per essere caricato. Alla sua destra poi i mietitori si affannano per unire i fasci da sporgere agli operai sui covoni. All’estrema destra, davanti alle case, un uomo a cavallo è fermo e controlla il procedere del lavoro. Si tratta probabilmente del proprietario o di una persona di sua fiducia.
“Per ottanta centesimi!” è un dipinto di Angelo Morbelli. L’intenzione era di rappresentare il duro lavoro delle mondine nelle risaie di Vercelli. Le lavoratrici sono impegnate del duro lavoro nelle risaie. Il paesaggio è solcato da numerosi canali, necessari per inondare le coltivazioni di riso. Le mondine sono in fila e affondano i loro piedi dentro l’acqua. Stanno, infatti, trapiantando il riso e procedono arretrando. Sono chinate in avanti e affondano le loro mani dentro la terra fangosa. La loro immagine si riflette nello specchio d’acqua in primo piano. I canali che separano le coltivazioni si allontanano verso l’orizzonte. In lontananza, verso sinistra un altro gruppo di donne arretra dalla direzione opposta. Infine, una sottile linea di bosco delimita i campi verso il bordo superiore del dipinto. Il taglio fotografico della scena esclude la raffigurazione del cielo, che appare solo riflesso sull’acqua resa attraverso vibranti pennellate, ad evocare il punto di vista delle donne al lavoro.
La fuga prospettica e la geometria della risaia mettono in evidenza una natura modellata dall’attività dell’uomo. L’intento di critica sociale non emerge solo nel titolo, che si riferisce esplicitamente alla paga destinata alle mondine, ma anche alla scelta stilistica. Il loro durissimo lavoro era, infatti, sottopagato e limitato ad un periodo breve durante l’anno. Sono gli anni dei primi scioperi in risaia per il raggiungimento delle 8 ore lavorative e di salari più equi, ottenuti proprio a Vercelli nel 1906 e l’artista fu colpito dalla forza di carattere che mostrarono le mondine nell’organizzare gli scioperi che portarono ad un salario migliore.
Il duro lavoro però, non è solo quello nei campi e spesso i lavoratori erano costretti a svolgere le loro mansioni in condizioni pericolose, condizioni che sono da sempre al centro di manifestazioni e di cui si parla continuamente nelle celebrazioni del Primo Maggio.
Viktor Efimovich Popkovè stato un artista russo del secolo scorso. In questa sua opera egli ha ritratto un gruppo di Elettricisti intenti a collegare dei fili della corrente. Sembrano quasi volare con le loro scale pericolanti. Un lavoro necessario, utile, ma anche molto pericoloso.
Indubbiamente il dipinto più rappresentativo e iconico della Festa dei lavoratori è “Il quarto stato” di Giuseppe Pellizza da Volpedo in cui il pittore rappresenta le rivendicazioni dei lavoratori di fine Ottocento.
Un gruppo di braccianti avanza compatta verso lo spettatore, dal buio dello sfondo al «sole dell’avvenire» che li guida nella loro pacifica protesta. La folla, compatta, avanza verso il fronte del quadro con grande determinazione. I volti sono intrisi di fierezza e la volontà di rivendicare i propri diritti. In primo piano, guidano il corteo a sinistra un uomo anziano, al centro un giovane, mentre a destra una donna con in braccio il suo bambino. Questi tre personaggi rappresentano le componenti della classe sociale più umile dell’epoca e sono vestiti con abiti poveri ma dignitosi. Il giovane uomo indossa una camicia con un gilet, un cappello e una giacca tenuta elegantemente da una mano. La sua postura è calma è sicura con una mano fermamente poggiata sulla tasca. La donna, invece, sembra rivolgersi all’uomo come per farlo desistere dal condurre la manifestazione ed è a piedi nudi. Porta in braccio un bambino che è nudo anche lui e che si abbandona nella stretta della madre. Gli uomini che seguono i tre personaggi gesticolano visivamente come per rivendicare le proprie istanze. A sinistra e a destra delle donne seguono il corteo. Un uomo con una giacca sulle spalle tiene per mano un bambino. Giovani, maturi e anziani procedono compatti verso il fronte del dipinto. Giuseppe Pellizza da Volpedo dipinse “Il Quarto Stato” con l’intenzione di documentare le rivendicazioni sociali della sua epoca. L’artista fu amico di Angelo Morbelli con il quale si confrontò sulla teoria divisionista e sulle tematiche politiche socialiste. Il titolo dell’opera è un termine utilizzato durante la rivoluzione industriale ottocentesca, per indicare la classe lavoratrice formata da operai, contadini e artigiani. Il termine nacque durante la Rivoluzione Francese quando ci si riferiva allo strato più basso della società’, quello dei subalterni al terzo stato cioè la borghesia.
La massa dei lavoratori in sciopero, avanzando compatta, assume quindi forza e potere per contrattare il proprio giusto salario. I lavoratori escono dall’oscurità dell’ignoranza per conquistare un proprio posto al sole. Il dipinto fu ambientato a Volpedo, un luogo di campagna e i personaggi erano abitanti del luogo. L’artista volle, così, raffigurare un gruppo indefinito di lavoratori. Giuseppe Pellizza da Volpedo fu a fianco di questi manifestanti e con la loro rappresentazione compì un gesto simbolico di speranza rivoluzionaria.
La storia dell’arte è piena di opere che rappresentano i lavoratori, le loro condizioni, le loro lotte per l’uguaglianza, il giusto salario e le condizioni lavorative. Dipinti intrisi di passione, a volte drammatici per enfatizzare le condizioni tremende in cui versavano mentre si rovinavano la schiena per pochi soldi. E ce ne sono davvero tanti. Tanti che per citarli tutti servirebbe un libro o forse più di uno. Una cosa è certa, le opere di questi artisti sono dei documenti preziosi che raccontano un passato che a noi magari appare lontano, ma che poi così lontano non è. Ho utilizzato quelli che per me erano i più rappresentativi, i più coinvolgenti, i più significativi.
Lavoratori di tutto il mondo, in questo momento difficile, uniamoci!