Ormai, da qualche tempo, si è acceso un dibattito importante su cui ho avuto modo di riflettere e ragionare. Secondo diverse indagini, la percentuale di scrittori ha superato, in Italia, quello dei lettori di libri, riviste e quotidiani ed è un dato che deve farci pensare.
Ho dedicato alcune pagine del mio ultimo libro, Figli delle App, alla storia della scrittura. Inoltre, ho avuto modo di essere il prefatore di un volume dal titolo “Liber”, scritto dal prolifico autore palermitano, Gino Pantaleone, ed edito dalla casa editrice Ex Libris di Carlo Guidotti, che analizza tutte le varie fasi della scrittura in maniera eloquente e affascinante, mettendo a nudo i caratteri rupestri fino ad arrivare ai caratteri a stampa.
L’evoluzione dell’uomo passa attraverso lo sviluppo delle sue capacità di comunicare. La storia della scrittura inizia trentacinquemila anni fa. Tra tutte le varie fasi che hanno accompagnato la comunicazione scritta mi piace ricordare la pittografia, poiché è stata quella forma di scrittura in cui il segno grafico (detto pittogramma) rappresentava l’oggetto visto e non il suono usato per identificarlo. Il tentativo era quello di riprodurre l’oggetto e non il suono. Oggi sembra di essere tornati indietro nel tempo, poiché la comunicazione è affidata alle emoticon, alle emoji e alle gif.
Ogni emoticon lancia un messaggio e, tramite la rappresentazione simbolica che dovrebbe assumere, un significato specifico. Le emoticon sono davvero tantissime; gli sviluppatori con regolarità rilasciano nuovi set, cresce il loro impiego in modo esponenziale e cresce il loro “consumo”. L’uso delle faccine consente di abbattere le barriere, culturali e geografiche, e incentiva la capacità di utilizzare la tastiera dello smartphone.
Molti ritengono che siano i moderni pittogrammi. Anch’io la penso allo stesso modo. Senza dubbio, trentacinquemila anni fa quelle figure rappresentavano il primo sforzo di costruzione di codici linguistici capaci lasciare una traccia, il racconto del vissuto di chi li aveva incisi nella roccia. Ma oggi questi “pittogrammi del ventunesimo secolo” appaiono come il prodotto dell’economia digitale e degli sviluppatori di tecnologia.
L’arrivo nella società dei primi cellulari ha cambiato il nostro modo di comunicare e le nostre vite. Gli iphone e gli smartphone di ultima generazione consentono di connettersi in rete e comunicare in modo veloce e pratico. Abbiamo smesso di inviare biglietti d’auguri, telegrammi e missive di ogni sorta perché affidiamo tutto alla messaggistica istantanea. Un sistema immediato e veloce. Quanti di noi, oggi, riuscirebbero a fare a meno di Whatsapp? Credo nessuno. Una rivoluzione che ha travolto il mondo a partire dal 2009. Ormai basta muovere le dita sullo schermo, rigorosamente touchscreen, per aprire e chiudere le innumerevoli applicazioni presenti. Abbiamo tantissime app che ci permettono di scrivere e condividere stickers di ogni sorta. Whatsapp non è l’unica applicazione di messaggistica istantanea, perché esistono tante altre applicazioni di questo tipo come ad esempio WeChat e Telegram. Non dimentichiamo poi le chat strettamente legate ai social network, come Messenger che è strettamente collegato a Facebook.
Sui social bastano pochi click per esprimere il nostro pensiero in un post, in un commento o sul nostro status personale e per farlo possiamo servirci anche delle immagini. I nostri contatti, amici su Facebook o followers su Instagram, ci seguono e in base al contenuto che pubblichiamo sanno tutto di noi. Insomma, affidiamo le nostre giornate a una “piazza virtuale”.
Ci trasformiamo in esperti di politica, di economia, di letteratura, di scienza e molte altre discipline. Come se non bastasse riusciamo a trasformarci in leoni da tastiera, pur di esprimere il nostro parere e prevaricare sugli altri. La pandemia ha favorito questo processo che anche il giornalista Marcello Veneziani ha evidenziato in suo articolo pubblicato sul n.48 di Panorama.
Veneziani si interrogava sul senso dei corsi di scrittura creativa di cui lui stesso si è occupato: “Non so davvero se abbiano senso i corsi di scrittura creativa, che io stesso in passato ho tenuto pur premettendo il mio scetticismo; ma educare a scrivere soprattutto oggi che gli scrittori sono ormai un popolo, una vasta area social, è cosa buona e giusta. Diventare scrittori però è un altro paio di maniche. Non si può essere scrittori senza aver prima studiato, corretto, e acquisito una tecnica di scrittura. Ma non vale l’inverso, che con la tecnica e lo studio si diventa scrittori. Sono basi necessarie ma non sufficienti perché poi a quella base occorre dare un’altezza che deriva dall’ingegno, dall’immaginazione, dall’ispirazione, dall’intuizione creativa, dallo stile. E in ogni caso, prima di scrivere si dovrebbe leggere, leggere, leggere. E studiare, educare alla lettura, accettare le correzioni, presuppone una virtù necessaria, almeno quanto l’ambizione di grandezza: l’umiltà“. Niente di più vero.
Crescono gli amanti dei social, ma hanno chiuso i battenti tante edicole, librerie e biblioteche. Una grande trasformazione che ha investito il mondo della comunicazione e dell’editoria. Questo comporta due riflessioni. L’aspetto positivo riguarda la possibilità di continuare ad esercitarsi con la scrittura, cercando di migliorarsi giorno per giorno. Ma non leggere significa proferire parola su tutto, significa non informarsi e soprattutto dare sfogo al proprio ego e, perché no, alle proprie frustrazioni.
Non leggere bene, e attentamente, comporta anche la diffusione continua di fake news che generano paura e confusione ai nostri stessi follower su Instagram o ai nostri amici su Facebook.
Purtroppo, sebbene ci siano tanti scrittori anche sui social è possibile percepire un linguaggio più volgare e maleducato, sintomo della mancanza di freni inibitori. Basti pensare ai tanti insulti che, molto spesso, leggiamo sulle diverse piattaforme.
Carlos Ruiz Zafon sosteneva, a proposito delle biblioteche, che: “Questo posto è un mistero. Un santuario. Ogni libro, ogni volume che vedi, ha un’anima. L’anima di chi lo ha scritto e di quelli che lo hanno letto e vissuto e sognato. Ogni volta che un libro cambia di mano, ogni volta che qualcuno fa scorrere lo sguardo sulle sue pagine, il suo spirito cresce e si rafforza. In questo posto i libri che nessuno più ricorda, i libri che si sono perduti nel tempo, vivono per sempre, in attesa di arrivare tra le mani di un nuovo lettore, di un nuovo spirito“.
Dobbiamo riflettere sul valore della lettura e sulla possibilità di tornare a confrontare le nostre esperienze, e il nostro vissuto, con un bel libro per esprimere noi stessi attraverso quelle frasi che arrivano al nostro cuore.