“Fate in modo che, leggendo la vostra storia,
il malinconico si senta invitato a ridere,
l’allegro lo diventi ancora di più,
l’ignorante non se ne stufi,
e chi è colto ne apprezzi la trama,
il serio non la disprezzi,
né il saggio manchi di lodarla.”
Miguel de Cervantes
La Battaglia di Lepanto è lo scontro navale che il 7 ottobre 1571 contrappose la flotta musulmana dell’impero ottomano e quella cristiana della Lega Santa. L’evento navale segnò una svolta epocale nella storia del Mar Mediterraneo e di tutti quei paesi che, fino ad allora, erano stati coinvolti nella lotta per arginare la minaccia turca sul mare.
Fino ad allora, i tentativi di arginare la potenza turca sulla terraferma si erano dimostrati assai vani (vedi la battaglia di Kosovo-polje o la caduta di Costantinopoli). Le ripetute sconfitte cristiane di quegli anni furono dovute alla preparazione di alcuni corpi scelti turchi, ai mezzi, ma soprattutto all’enorme quantità di forze, che i sultani avevano la possibilità di schierare ad ogni “appuntamento” militare.
Nel Mediterraneo era rimasta da tempo una partita aperta: quella tra cristiani e musulmani, che si riassumeva nello scontro tra l’Impero ottomano e il Regno di Spagna. Ambedue erano Stati fondati sul potere assoluto del loro sovrano; avevano dimensioni enormi; infine, potevano contare su un potenziale bellico considerevole, che sostanzialmente si equivaleva.
Alla guerra aperta si mischiava poi la pirateria, fenomeno centrale nella storia dell’epoca. La pirateria musulmana costituiva un pericolo per tutte le rotte e le coste del Mediterraneo ed aveva il suo principale centro ad Algeri. Ma ben diffusa era anche la pirateria cristiana, rivolta non solo contro i musulmani. La tensione tra il re di Spagna Filippo II e il sultano turco aumentò tuttavia in seguito all’occupazione da parte del successore di Solimano il Magnifico, Selim II (1566-74) dell’isola di Cipro, dominio veneziano situato in una zona strategicamente vitale (1570).
Fu allora che il mondo cristiano si scosse e, tra infinite diffidenze e trattative quanto mai complesse, riuscì a trovare una comunione d’intenti. Decisiva fu la mediazione di papa Pio V (1565-72), che portò alla costituzione di una Lega Santa contro i turchi, comprendente oltre al pontefice, la Spagna, Venezia, Genova, Granducato di Toscana, Savoia, Urbino e Cavalieri di Malta. La grande flotta venne guidata da Don Giovanni d’Austria, fratello naturale di Filippo II, si radunò a Messina e salpò verso il Mare Egeo.
E così in quel fatidico 7 ottobre del 1571, nelle acque di Lepanto, una città greca posta all’imboccatura del golfo di Corinto, si fronteggiarono le due grandi flotte composte da centinaia di navi. La Lega Santa si presentò con una flotta solida e numerosa. I Veneziani avevano investito in tecnologia, innovando il proprio parco di armi da fuoco ma, soprattutto, avevano lavorato alla costruzione di una vera arma segreta: la galeazza, una galea più alta e più lunga di quelle normali e, per questo, praticamente inabbordabile. Su di essa erano sistemati i tradizionali cannoni laterali, ma anche altri quattro cannoni, due a poppa e due a prua, che le permettevano di sparare da qualsiasi posizione.
Lo scontro si risolse in una grande disfatta dei turchi, che misero in salvo appena trenta galee e persero circa 35.000 uomini tra morti, feriti e prigionieri. I cristiani liberarono inoltre 15.000 forzati imbarcati come rematori nelle stive turche. Nella memorabile battaglia di Lepanto, fu preziosa non solo la superiorità cattolica dell’artiglieria e nelle armi da fuoco leggere ma il fatto che la flotta musulmana arrivò allo scontro in cattive condizioni, dopo mesi di estenuanti scorribande nell’Adriatico. Alla battaglia partecipò Miguel de Cervantes, autore del Don Chisciotte della Mancia, che si imbarcò a Messina insieme con il fratello Rodrigo. Nella battaglia Cervantes, nonostante la febbre, combatté con valore, ma ricevette tre colpi di archibugio, due al petto, il terzo alla mano sinistra, di cui perse l’uso.
Per le ferite Cervantes verrà ricoverato presso l’Ospedale civico di Messina dove risiederà per circa 6 mesi, trascorrendo il tempo nell’osservazione della varia umanità che gli si presentava innanzi. Lo scrittore e biografo catalano Sebastià Arbò (1946) attribuisce al periodo messinese la nascita, quantomeno dell’idea, del capolavoro di Cervantes, ma suggerisce anche alcune scene in cui l’autore si sarebbe lasciato ispirare dal paesaggio dello Stretto.
Racconta Arbò: “Per mesi Miguel de Cervantes fu confinato in un letto di ospedale a Messina, aspettando la guarigione delle ferite. Per molti giorni non aveva altro da fare che sedere alla finestra e aspettare il momento in cui avrebbe potuto fare le prime passeggiate, con la buona stagione. Desiderava ardentemente la pace della campagna siciliana per fargli dimenticare l’incubo della violenza che si celava dietro di lui. […] La sua immaginazione univa i ricordi di questi giorni felici in Sicilia con le impressioni della campagna andalusa, e da qui creava la scena del suo Don Chisciotte in cui il cavaliere, dopo aver condiviso un pasto scarso con i grezzi e primitivi caprai, parla loro dell’Età d’Oro dell’umanità.”
La notizia della vittoria della Lega Santa nella battaglia di Lepanto suscitò un’ondata di entusiasmo nei Paesi vincitori e in tutte le terre che confinavano con la potenza turca. Quando la notizia della vittoria giunse in Vaticano, il papa ordinò che tutte le campane di Roma suonassero a festa. La scarsa coesione tra i vincitori impedì alle forze alleate di sfruttare appieno la vittoria per ottenere una supremazia duratura. Dal punto di vista militare i turchi si ripresero prestissimo: ricostruirono la flotta e stipularono una pace separata con Venezia (1575), che si rassegnò alla perdita di Cipro.
Ma dopo Lepanto la presenza dei turchi nel Mediterraneo risultò come offuscata, senza più la brillante aggressività dei secoli precedenti. Essi preferirono spostare il loro interesse su un altro fronte, quello persiano, che li tenne occupati a lungo.
Per il mondo cristiano la battaglia di Lepanto segnò la fine di un incubo, perché mostrò che i turchi potevano essere duramente sconfitti in un grande scontro frontale. Libere da un troppo radicato complesso d’inferiorità, le potenze cattoliche che mantenevano flotte nel mediterraneo ripresero coscienza delle proprie forze e i traffici mediterranei divennero ora, per le navi cristiane, più sicuri di prima. La Chiesa santificò quella vittoria istituendo la festa della Beata Maria Vergine del Rosario.
La vittoria cristiana di Lepanto fu decisiva per l’intera comunità mediterranea dell’Europa. Se la fine ufficiale dell’impero Ottomano è databile al 1918, l’inizio della regressione dell’espansionismo islamico parte proprio dal 7 ottobre 1571 e che oggi rivive nelle tragiche gesta di Recep Tayyp Erdogan.
Qualora le imponenti flotte turche fossero riuscite ad avere la meglio su quelle cristiane, gran parte dell’Italia (esclusa Venezia) sarebbe passata sotto l’egida ottomana, e col tempo anche il traffico marittimo che collegava la Spagna ai suoi domini imperiali si sarebbe fermato, portando la potenza turca ad un’espansione che nemmeno gli Asburgo sarebbero stati in grado di fermare. Francia e Principi luterani e calvinisti non sarebbero stati in grado di reggere l’urto da soli, la barriera del Danubio sarebbe stata facilmente superata, e l’intera storia europea dei secoli XVI-XX sarebbe stata mutata in maniera inimmaginabile.
Per secoli Lepanto ha rappresentato lo scontro che decise il futuro di due culture incapaci di convivere pacificamente, ma soprattutto una delle poche occasioni storiche in cui, buona parte della comunità europea occidentale si è riunita sotto un’unica forza per sconfiggere un avversario comune e garantirsi un futuro indipendente. Mai più si vide una così grande battaglia navale nel Mediterraneo: un’epoca si chiudeva e l’Atlantico sarebbe diventato presto il nuovo centro del mondo.
Ma la “retorica” di Lepanto, di cui anche Giorgio Vasari si rese complice nella raffigurazione paritaria delle forze in campo con cui affrescò la Sala Regia del Vaticano per ascrivere la vittoria all’intervento divino, è stata recentemente ridimensionata dal libro di Alessandro Barbero – lo storico oggi più corteggiato dai media – “Lepanto. La battaglia dei tre imperi” pubblicato da Laterza nel 2012 e di cui il medievista Franco Cardini ha scritto:
“Ma che cos’ha, la sua battaglia di Lepanto, di così straordinario?”
Direi quattro cose, che enunzierò in ordine crescente di originalità e d’importanza.
Primo: l’accurata ricostruzione dei suoi precedenti politico-diplomatici e del suo svolgimento militare: in ciò v’erano già precedenti illustri, ma Barbero precisa con cura fatti e valori quantitativi, discute i dati numerici, corregge sviste ed errori, denunzia esagerazioni, occultamenti e mistificazioni.
Secondo: la rigorosa contestualizzazione, in forza della quale si dimostra che quella battaglia non segnò affatto l’inattesa e irreversibile rovina dell’egemonia ottomana sul mare: in quanto essa non era affatto inattesa e non fu per nulla irreversibile. E’ una leggenda storiografica che le marinerie ottomana e barbaresca si ritenessero invincibili, e che l’evento del 7 ottobre 1571 segnasse al riguardo uno sconvolgimento. Del resto, basti ricordare che la guerra intrapresa nel 1570 dal sultano per strappare il controllo dell’isola di Cipro ai veneziani si concluse con la vittoria ottomana: che la giornata di Lepanto, al massimo, ritardò. Né d’altro canto è vero che una eventuale vittoria ottomana nelle acque di Lepanto avrebbe significato una minaccia per tutto l’Occidente. Avrebbe al massimo abbreviato la guerra di Cipro.
Terzo: la constatazione del fatto che si trattò non già d’uno scontro animato da uno spirito di lotta religiosa e tanto meno di uno “scontro di civiltà”, bensì di un confronto fra tre imperi – l’ottomano, il veneziano, lo spagnolo – in corsa per aggiudicarsi l’egemonia navale sul Mediterraneo.
Quarto, e fondamentale: la dimostrazione – tanto lucidissima quanto molto moderna e attuale – che la battaglia di Lepanto fu anzitutto e soprattutto una straordinaria vittoria mediatica e propagandistica che Venezia, il re Filippo II di Spagna e papa Pio V seppero sfruttare in modo tra loro contrastante e concorrenziale. Insomma, un libro rivoluzionario. Barbero si merita un cavalleresco chapeau.”
Un giudizio storico che oggi, mentre forze politiche italiane ed europee sembrano invocare una nuova Lepanto, innalzandone i vessilli con la Croce e scambiando il XXI secolo con il XVI, rivela quanto quell’evento di quasi mezzo millennio fa – al pari di altri nella storia come ricorda Paolo Mieli nel suo recentissimo libro “Il tribunale della storia. Processo alle falsificazioni” pubblicato in questi giorni da BUR Biblioteca Universale Rizzoli – andrebbe approfondito da parte di chi si ostina a nutrire le proprie “truppe” con facili miti che evocano la contrapposizione religiosa e lo scontro di civiltà per costruirvi sopra un facile e pericoloso consenso.
Una parodia del passato di cui l’arguto Sancio Panza in groppa al proprio asinello avrebbe riso volentieri!