Il fenomeno della migrazione attraversa tutta la storia del ventesimo secolo e approda nel ventunesimo secolo con tutta la forza della spinta che viene dei paesi poveri e dalle guerre che attraversano Medio Oriente, Asia e Africa e dalla pervasività dei media che da strumenti d’informazione sono diventati luoghi di relazione, trasformandoci in: pubblici connessi
Il tema della migrazione viene da sempre affrontato da Papa Bergoglio. Infatti, durante le festività natalizie è tornato a parlare di tutte quelle persone che sono costrette a scappare dalla guerra o dalla fame.
Il Pontefice nella catechesi del 29 dicembre, all’udienza generale in Aula Paolo VI, è tornato a parlare della migrazione, definendola: “uno scandalo sociale dell’umanità”. Il Papa ha incentrato la sua riflessione sul tema: “San Giuseppe, migrante perseguitato e coraggioso”. E ha pregato con queste parole: “Tu che hai sperimentato la sofferenza di chi deve fuggire per salvare la vita alle persone più care, proteggi tutti coloro che fuggono a causa della guerra, dell’odio, della fame. Sostienili nelle loro difficoltà, rafforzali nella speranza e fa’ che incontrino accoglienza e solidarietà. Guida i loro passi e apri i cuori di coloro che possono aiutarli”.
Il Papa ha fatto un parallelo storico tra la famiglia di Nazaret, in fuga da Erode, e le famiglie del nostro tempo.
“La famiglia di Nazaret ha sperimentato in prima persona la precarietà, la paura, il dolore di dover lasciare la propria terra. Oggi tanti nostri fratelli e tante nostre sorelle sono costretti a vivere la medesima ingiustizia e sofferenza. La causa è quasi sempre la prepotenza e la violenza dei potenti”.
Ha pregato per tutti i migranti, per i perseguitati, per le vittime di circostanze politiche, storiche e personali. E ancora ha fatto un riferimento alle persone che vivono il dramma della guerra e vogliono scappare dalla loro terra e non ci riescono. E poi ci sono quei migranti che: “Cominciano quella strada per essere liberi e invece finiscono sulla strada o nel mare. Una realtà quella della migrazione di oggi davanti alla quale non possiamo chiudere gli occhi, è uno scandalo sociale dell’umanità”.
Non posso non pensare a quanto sta accadendo in Afghanistan. Diversi quotidiani nazionali hanno ripreso i rapporti dell’associazione “Save The Children”.
Mamme costrette a vendere un figlio per salvarne un altro che è particolarmente denutrito oppure genitori che provano per 100 dollari ad affidare il proprio figlio ad altre famiglie per cercare di riuscire a sfamare la propria.
Insomma, bambini che diventano merce e genitori che si privano dei loro figli per cercare di garantire la sopravvivenza agli altri fratelli o per cercare di riuscire ad arrivare in fondo alla giornata. Proprio mentre noi abbiamo festeggiato il Natale nelle nostre case, tra i nostri comfort e i nostri agi, leggiamo le storie che raccontano le tante associazioni di volontariato che stanno operando in Afghanistan.
La percezione della migrazione attraverso i media tradizionali ed i social network è stata più volte oggetto di ricerche poi presentate anche in contesti internazionali. Ho cercato di capire quanto sia oggi rispettato il concetto di “etica della responsabilità”.
Il concetto di etica della responsabilità introdotto da Weber all’inizio del ventesimo secolo assume ancora oggi un valore fondamentale in particolare per quanto attiene alla figura del giornalista, alla necessità di un rinnovato ruolo di intermediazione tra il fatto e il suo racconto.
Il caso più controverso, dal punto di vista deontologico, della recente cronaca delle ondate di immigrazione sulle coste del sud dell’Europa riguarda la foto del piccolo Alan, trovato morto sulla spiaggia.
Il codice deontologico per una cultura dell’infanzia all’articolo 7 sancisce: “Nel caso di minori malati, feriti, svantaggiati o in difficoltà occorre porre particolare attenzione e sensibilità nella diffusione delle immagini e delle vicende al fine di evitare che, in nome di un sentimento pietoso, si arrivi ad un sensazionalismo che finisce per divenire sfruttamento della persona”.
Ed ancora l’articolo 11: “Tutti i giornalisti sono tenuti all’osservanza di tali regole per non incorrere nelle sanzioni previste dalla legge istitutiva dell’Ordine”.
Oggi, è mutato completamente il concetto di privacy e soprattutto l’indiscrezione diventa notizia. Come se non bastasse la velocità con la quale le informazioni circolano ha compresso i tempi della verifica fino quasi ad annullarli. Mostriamo corpi, violiamo le vite di persone – uomini, donne e bambini – ma non raccontiamo i fatti, non narriamo il contesto.
Le immagini, la stessa immagine, si propaga in modo esponenziale e diventa subito “evento mediatico” che viene spettacolarizzato.
Una recente indagine dell’Osservatorio sui Diritti mostra con tutta evidenza le conseguenze derivanti da: l’indebolimento delle regole deontologiche, la fragilizzazione del concetto di privacy e la prevalenza della spettacolarizzazione della notizia.
Il dato più allarmante è che l’immigrazione genera paura e razzismo e il 45% dei giovani si dichiara xenofobo. L’elemento che emerge con tutta evidenza è la contraddizione forte che esiste tra come giudichiamo i comportamenti degli altri e ciò che accettiamo possa entrare a far parte del nostro quotidiano.
Nel XLVI Osservatorio sul capitale sociale degli Italiani – Lessico del Futuro (06/2015) Emerge come: “Il tema degli immigrati, più degli altri, appare, invece, argomento di divisione. Al confine fra integrazione e chiusura, Riflesso delle paure sollevate dalla globalizzazione. Del mondo che incombe su di noi. E ci minaccia”. Sì, perché la disinformazione genera confusione e destabilizzazione nelle persone e questo porta alla nascita di pregiudizi che si fondano su basi inesistenti.
Credo che sia necessario e urgente invertire la tendenza. Di fatto, ci troviamo davanti ad una grande sfida che è quella di riscoprire il ruolo dell’informazione, rispettando le categorie più fragili e dando valore alla persona.
Dobbiamo seguire i consigli di Papa Francesco e stare dalla parte dei più deboli, dobbiamo batterci per far conoscere l’educazione ai sentimenti, infondendo sani valori alle nuove generazioni.
Quando qualcosa avviene lontano da noi sembra non appartenerci, ma non è cosi. Quelle donne, quegli uomini e quei bambini meritano una vita dignitosa come la nostra. Forse hanno la colpa di essere nati nel posto sbagliato o al momento sbagliato? Non credo proprio. Basta assistere a continui disastri umanitari e ora di agire per trovare delle soluzioni concrete.