La pandemia è stata (ed è tutt’ora) un’emergenza. E come tale ha richiesto interventi d’urgenza, misure di contenimento, decreti e leggi volte ad arginare la sua diffusione e far fronte a criticità inaspettate. Ora che la situazione sembra un po’ più calma e che il numero di casi sembra essere in calo, è il momento di fare un bilancio di come i governi che si sono succeduti negli ultimi due anni hanno affrontato l’emergenza.
La prima cosa che salta agli occhi è il numero impressionante di atti emanati da governo e simili negli ultimi due anni, da gennaio 2020 a gennaio 2022: complessivamente sono stati adottate ben 871 misure per contrastare l’avanzata del coronavirus nel nostro paese, una media di circa 35 al mese! (dati Openpolis) Sia durante il governo Conte bis che, dopo, durante il governo Draghi, a pubblicare la stragrande maggioranza di questi atti è stato il Ministero della Salute (seguito dalla Protezione Civile, specie durante il governo Conte, quando ha emanato oltre 90 direttive).
Altro aspetto degno di nota, la stragrande maggioranza di questi atti non sono passati dal Parlamento (quelle legate alla pandemia che lo hanno fatto si contano sulle dita delle due mani e, quasi sempre, erano semplicemente la conversione in legge di decreti emessi in precedenza). Per il resto si è trattato di “ordinanze”, “decreti ministeriali”, “DPCM” (ovvero decreti del presidente del consiglio dei ministri) e altre norme. Tutte accomunate da un aspetto: quella di essere state “imposte” agli italiani con la giustificazione dell’emergenza (dichiarata il 31 gennaio 2020 durante il governo Conte), senza passare attraverso la valutazione del Parlamento.
Il Parlamento è stato ritenuto troppo lento (per essere eufemistici) per fronteggiare un’emergenza. Ebbene, se da un lato è vero che l’art. 76 della Costituzione prevede la possibilità per il Parlamento di delegare l’esercizio della funzione legislativa al Governo dall’altro è altrettanto vero che questo può avvenire solo “con determinazione di principi e criteri direttivi e soltanto per tempo limitato e per oggetti definiti”. Dopo due anni (e non è ancora finita) sorge spontanea la domanda: cosa significa tempo limitato? E visto che le misure hanno riguardato praticamente ogni aspetto della vita dei cittadini cosa deve intendersi con “obiettivi definiti”?
A queste domande se ne aggiunge un’altra, non meno importante: secondo alcuni giuristi, queste “ordinanze extra ordinem” devono, tuttavia, rispettare dei limiti che attengono alla materia, alle finalità, alla competenza ma soprattutto al rispetto di ineludibili precetti costituzionali”. Invece sempre secondo alcuni, negli ultimi due anni si sarebbe andati ben oltre. Ad esempio, l’art. 3 co. 2, del d.l. n. 6/2020 avrebbe consentito ai Presidenti delle regioni e ai Sindaci nella fase emergenziale di emanare ordinanze in materia sanitaria (sulla base di alcune fonti di rango primario preesistenti come l’art. 32 della legge 23 dicembre 1978, n. 833, o anche per i Sindaci in base all’art. 117 del d.lgs. 31 marzo 1998, n. 112 e dell’art. 50 del Testo unico degli enti locali). Questo avrebbe aperto numerosi contenziosi (si pensi alle polemiche sin dalla prima fase della pandemia tra Governo centrale e regioni come il Veneto, la Campania o la Lombardia).
Molti i dubbi sulla legittimità di tali misure. Tanto più che molte delle misure adottate hanno riguardato la sospensione di libertà e diritti fondamentali: dalla deroga di diritti quali la libertà personale (art. 13 Costituzione) alla libertà di circolazione e soggiorno (art. 16 Costituzione), fino alla libertà di riunione (art. 17). Tutte limitazioni imposte senza sentire il parere del Parlamento, del Capo dello Stato o della Corte Costituzionale. C’è chi sostiene che proprio la situazione emergenziale avrebbe legittimato l’emanazione dei DPCM che sarebbero stati autorizzati con i decreti-legge n. 6/2020 e n. 19/2020. Sarebbero stati questi decreti-legge che avrebbero legittimato il Presidente del Consiglio a sospendere alcuni dei diritti fondamentali.
Di tutto questo si è parlato poco. E non solo in Parlamento. È vero che una situazione emergenziale può richiedere azioni straordinarie che sconvolgono i normali meccanismi di governo, ma è altrettanto vero che questi meccanismi non dovrebbero deformare troppo l’interpretazione della Costituzione. Proprio per questo motivo, i padri legislatori posero dei limiti temporali allo stato di emergenza. A mettere a rischio tutto questo è stato rimandare oltre ogni previsione il ritorno alla normalità.
Forse, cessata la pandemia, il Parlamento tornerà ad assumere il ruolo che gli compete. Allora, si spera, potrà tornare a svolgere il ruolo che gli spetta e emanare una legge che definisca meglio quale deve essere il giusto rapporto Governo – Parlamento. In modo da essere pronti a gestire la prossima emergenza (senza dover emettere oltre 30 ordinanze ogni mese).